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Racconto di Natale

Creato il 23 dicembre 2013 da Rory

Racconto di Natale

La mia Chiesa preferita di sempre, la Chiesa del Gesù Nuovo a Napoli

Come sempre quando era triste, depressa, disperata e sconsolata, Angelica, detta da sempre Angi, si era rifugiata in Chiesa. La porta della casa del Signore è sempre aperta, le sembrava che avesse detto qualcuno, anche se non riusciva a ricordare chi. La sua chiesa preferita era quella del Gesù Nuovo, nell’omonima piazza di Napoli, che frequentava da quando andava a scuola nel vicino liceo classico. Tendenzialmente, Angi non aveva l’aria della classica persona devota. Sarà stato il trucco scuro, il mood un po’ dark in generale, i capelli biondi. Eppure, la fede l’aveva sempre salvata.

Era dicembre, si sentiva infreddolita anche se la temperatura non era poi così gelida, come per fortuna non lo è mai nelle città del Sud. Stretta nel suo cappotto nero, attraversò la navata destra per andare a pregare in una delle sue cappelle preferite. Si avvicinò alla statua di San Giuseppe Moscati, il medico santo a cui tutti i napoletani sono molto legati. Gli strinse la mano d’ottone, che era più lucida del resto del corpo della statua, probabilmente perché sempre toccata dai fedeli. Improvvisamente si voltò e vide una discreta folla alle sue spalle. Le parve singolare. Si allontanò per confessarsi. In effetti si era confessata il giorno prima ma sentiva di doverlo fare ancora.

Raggiunse poi una piccola cappella di fianco all’altare maggiore, quella dell’adorazione, dove vigeva il silenzio. Si sedè su un banchetto. Tirò fuori il suo Rosario bianco, quello che le aveva dato sua madre ed iniziò a recitarlo piangendo. In breve, le guance le si solcarono di lacrimoni neri di mascara. La messa era appena iniziata. Davanti a lei, qualche panca più avanti, era seduto un ragazzo. Aveva l’aria molto giovane, i capelli scuri e folti, un po’ scompigliati, forse aveva meno di vent’anni. L’aveva già visto prima, qualche domenica addietro, era solito sedersi anche lui in quella cappellina. Lo guardò fugacemente e lui fece altrettanto. “Adesso si alza” pensò Angi “e viene qui vicino a me”. Non sapeva neppure perché lo aveva pensato, era come una premonizione, come quelle che aveva spesso. Ed effettivamente, fu quello che accadde.

“Posso sedermi?” domandò il ragazzo, avvicinandosi al banchetto dov’era seduta Angi. Lei non disse nulla, gli fece solo un gesto con la mancina. Lui le si accomodò di fianco. “Perché piangi?” chiese piano. “Dovrei dirti praticamente tutti i fatti miei” mormorò lei, sospirando. Si passò una mano su una gota, impiastricciandosi ulteriormente la faccia di trucco colato. “Beh ma con me puoi. Sono uno sconosciuto, no? Non posso giudicarti”. Angi sorrise. Una lacrima le scivolò tra le labbra, densa e salata. “E’ vero”, rispose. Non si conoscevano, non s’erano mai visti prima, eppure bastò uno sguardo perché entrassero immediatamente in sintonia.

Gli porse la mano “Mi chiamo Angelica” si presentò rapidamente. “Solitamente non piango in Chiesa e non sono così disperata” aggiunse con un mezzo sorriso. “Sono Uriel” disse a sua volta, stringendole la destra. “Come l’Arcangelo. Adesso ho capito tutto” e gli sorrise, questa volta più convinta. Pensò che probabilmente Uriel fosse veramente un angelo mandato da Dio per consolarla, tipo miracolo di Natale, roba da film insomma. Iniziarono a chiacchierare a voce bassa, per non disturbare la funzione che era in atto. Lei gli raccontò tutti i suoi problemi, neppure fosse un’altra confessione. Uriel l’ascoltò senza interromperla, cingendole le spalle con un braccio.

“Sai” esordì poi, al termine del racconto. “Penso che alla fine, tu non debba preoccuparti. Quando facciamo qualcosa di sbagliato e chiediamo scusa, chi ci ama ci capirà e ci perdonerà. Chi non ci ama non lo farà ma non è un male: significa solo che non era una persona degna di stare al nostro fianco. E non perché noi siamo buoni e loro sono cattivi, semplicemente perché non ci si può incastrare bene con tutte le persone, non tutte sono in grado di comprenderci davvero”. Angi l’ascoltò in silenzio. Lui era evidentemente più giovane di lei, che aveva da poco compiuto 28 anni. Avrebbe potuto essere il suo fratellino. Gli sorrise ancora.

“Quando io sto male, penso sempre che sì, il mio dolore è importante ma ci sono persone che stanno molto, molto peggio di me. Sai, studio medicina” continuò Uriele, guardandola in viso “e vorrei specializzarmi in oncologia pediatrica. Hai mai visto come stanno male i bambini malati di cancro? Eppure, tranne il dolore fisico, loro non avvertono davvero male, perché si sentono come gli altri, pur non essendolo. Guarda te, me. Abbiamo tutto. Abbiamo due gambe, siamo in salute, possiamo fare quello che vogliamo. Pensa a loro, pensa a chi soffre davvero. E capirai che a volte le cose che ti provocano dolore sono infinitesimali rispetto alle loro sofferenze”.

Angi sgranò gli occhi scuri. Quel ragazzino, quello sconosciuto, aveva perfettamente ragione. Aveva colto nel segno. Smise subito di piangere. “E’ vero” mormorò, stringendo le labbra. “Non ci penso mai… ma è vero”. Si voltò verso di lui ma era sparito. Volatilizzato, come se fosse scomparso nel nulla. Si alzò di scatto e fece per cercarlo con lo sguardo. Sparito. Intanto la messa era finita. Percorse rapidamente la navata, nonostante i tacchi alti, continuando a cercarlo. Ma ancora una volta non lo trovò, come se fosse stato inghiottito dalla folla o dalla notte. “Forse era davvero un angelo” mormorò stringendosi nelle spalle e imboccando, con un sorriso leggero, l’uscita.


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