Racconto di Natale /5

Da Icalamari @frperinelli
(un racconto di Francesca Perinelli ©2012).

[segue / leggi dall'inizio]

Nessun pranzetto a lume di candela, come una volta dopo i nostri esami, solo qualcosa buttato giù in fretta al bar. Alla fine la gente mi fece le domande giuste, ma certo poca roba. Quello che era sembrato un trionfo, si rivelò nient’altro che un buffetto sulla guancia.

Una volta usciti, avevamo riso di quella storia della somiglianza con l’attrice. Lupo sapeva che non sopportavo il paragone. Ci tenevo a essere apprezzata per me stessa, e proprio nel periodo della vita nel quale stavo lavorando a questo scopo, cominciò una specie di persecuzione. Parenti, amici, persone appena conosciute, a volte subivo quasi delle aggressioni. Le donne, soprattutto, capitava che mi seguissero anche in bagno per dirmi quanto ero fortunata a somigliare a tale famosa attrice. Comunque quel giorno liquidammo il tutto in una risata.

Salimmo in moto, Lupo mi aveva detto “Non ti lascio tornare da sola”. Raccogliendo molliche mi sembrava di poter ricostruire il pane spezzato.

All’altezza di casa sua mi indicò un punto all’altro lato della carreggiata.

- Non è tua nonna quella?

Effettivamente, sul marciapiede opposto a quello che scorreva al nostro fianco, c’era mia nonna che si sporgeva verso il parco e rovistava col bastone in basso, appoggiata con tutto il corpo alla siepe di arbuscelli. La stessa siepe dietro la quale eravamo finite entrambe solo la sera prima. Sentii agitarsi qualcosa nello stomaco mentre la moto faceva rotta su di lei.

- Ciao.

- Chi è? Ah, voi.

Alzò la testa, ed era furibonda.

- Datemi un po’ una mano, su!

- A fare cosa, nonna?

- Ieri sera ho perso il borsello, qua dietro. Aiutatemi a cercarlo.

- Ieri sera? – fece Lupo, rivolgendomi uno sguardo diffidente.

- Eh, poi non abbiamo avuto più il tempo di parlare…

Appena iniziai a raccontare, mia nonna gli piazzò le mani sul sedere e lo spinse con insospettabile forza dall’altra parte dell’infilata di cespugli.

- Ehi! – Protestò Lupo. Ne ricevette in cambio uno sguardo umido e trepido, qualcosa che avrebbe squagliato anche una pietra. Lupo incassò signorilmente e si mise in cauta esplorazione.

- C’è un buco qui.

La neve si era quasi del tutto sciolta, aveva piovuto di nuovo nella notte. Si capiva bene ormai che il terreno era stato lasciato aperto per una stretta fessura, in corrispondenza di un cantiere per la riparazione di qualche guasto alle tubazioni.

- Tu ieri sera sei finita dentro… Qui? E come mai?

Finsi di non aver sentito la domanda. Appoggiai una mano a terra e mi misi a sedere guardando la strada, in attesa dell’ineluttabile chiarimento.

Lupo riemerse tutto sporco di fanghiglia, tenendo nella mano destra il borsello perduto e ritrovato. Il mistero su che cosa contenesse andò ad aggiungersi a quello che riguardava l’insolita passeggiata serale della vegliarda. Alla quale però non era il caso di fare tante domande.

Stava giusto allontanandosi dopo aver sibilato un vago ringraziamento, quando dovetti dire:

- Svengo.

E infatti svenni.

Riaprii gli occhi sul solito lettino di fortuna. Ero svestita a metà, e adesso stavo in maglietta, mutandine e calzettoni, ben coperta da tre strati di coperte multicolori, confezionate ai ferri ai tempi in cui mia nonna ci vedeva ancora bene. Sentivo trabaccare nelle stanze intorno, ma non capivo molto di quello che accadeva. La testa mi ronzava e sul tavolino di fronte a me stava un bicchiere vuoto con accanto la confezione aperta di una pastiglia di Aspirina effervescente. Richiusi gli occhi e caddi di nuovo in un lungo e immemore sonno fino a sera.

I miei genitori furono avvertiti. Si materializzò l’ectoplasma di mia madre, la riconobbi dal profumo e dal bacio che mi appoggiò piano su una tempia. Le sorrisi ad occhi chiusi, lei mi fece qualche raccomandazione e poi si ritirò in cucina a confabulare con la sua, di madre.

La mattina seguente mi risvegliai sempre nello stesso letto.

[continua]

In a manner of speaking - Nouvelle Vague


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