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Leggere storie, come quella che vi stiamo per raccontare, è come viaggiare nel tempo, tra ricordi sopiti e sensazioni dimenticate. E spesso scopri che l’ispirazione, ciò che ha scatenato quel fluire dei pensieri che è diventato racconto, è l’incrocio di due eventi: la casualità di un gesto e l’improvviso risveglio di un senso.
Non so se vi è mai capitato, ma a me è ‘sta cosa, tempo fa, m’ha fatto ricordare… E ve la voglio raccontare.
È andata così: il gran caldo d’agosto mi fa gironzolare sulla riva del lago in costume da bagno a braghetta, come si usa da molti anni, per i maschietti, non più afflitti dal terribile “triangolino” da nuotatore fico anni ’70, che molto certo rende su un fisico possente, ma molto può anche in negativo… Insomma, per dirvi che decido di farmi uno di quei gelati col bastoncino, cioccolato fondente e ripieno di sorbetto ai frutti di bosco.
Ma non c’è posto, sulle sedie di plastica, e mi capita un vecchia sedia che evidentemente al piccolo Lido sul lago è sedia da giocarsi solo nel caso del tutto esaurito. Una di quelle con le gambette sottili e cromate, i piedini a semisfera… E la copertura in finta pelle rosso ciliegia, un po’ stinta ed inappropriata. Sì, perché è caldo, e si cerca una sdraio in tessuto, una sedia in plastica bianca, forata, fresca, ma non una vecchia sedia in finta pelle!
Ed invece dopo poco scopro che non è una sedia inadeguata, ma una meravigliosa macchina del tempo! Mangiando il mio gelato mi lascio andare ad un trasporto temporale all’indietro…
Il colpo finale alla partenza lo dà un bruciore momentaneo quando sposto le cosce sulla finta pelle rossa, che si era nel frattempo fisicamente unita, per così dire, con la mia, di pelle.
Uno “Sssschtt!” fastidioso, con il quale scollo le gambe dalla sedia, riaccomodandomi, mi fa precipitare nell’epoca nella quale noi del baby boom attaccavamo involontariamente le nostre gambette ai sedili infuocati delle Fiat 124, delle poderose Giulia o delle mollicce Renault, auto certo fantastiche, ma quasi sempre arredate in finta pelle, in alcuni casi chiamata pretenziosamente Sky.
È una sensazione, questa dello “strappo” da ceretta, che riconduce a viaggi epici, come quelli verso la riviera Adriatica, oppure sui passi alpini, in estate, con le ossute ed ammaccate ginocchia “open air”, sempre cercando di galleggiare, appena saliti, se era troppo caldo, in attesa che la seduta diventasse un po’ meno simile al catrame appena steso. E poi non è che mettere sotto, stendendolo sul divanetto, il plaid a scacchi, le cose andassero meglio, perché non so voi, ma il nostro plaid, quello da pic nic, era fatto di una lana tosata alle ortiche! Meglio la finta pelle?!
Finta pelle di Marco Franceschini
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