Magazine Cucina
Massimiliano Lopresti, di Acquaro (VV), è insegnante di italiano nella Scuola secondaria di I grado. All’attivo, come pubblicazioni, diversi racconti e poesie in antologia. Una pubblicazione individuale, di poesie, intitolata Piccola raccolta certosina. Negli ultimi mesi è arrivato secondo al concorso di poesia organizzato dall’associazione Apice e primo ad un concorso letterario indetto dall’associazione Campi magnetici di Milano.
Per “Wine on the road”, concorso letterario 2011 di Villa Petriolo, scrive “Il nettare di Abramo”.
Racconto “IL NETTARE DI ABRAMO” di Massimiliano Lopresti
Non potevo sapere come mai Mimmo, l’ingegnere torinese, avesse sistemato sulla tavola imbandita tre bottiglie di Nettare di Abramo. E non sapevo come mai quella sera io fossi seduto alla sua tavola, poiché la nostra era una semplice conoscenza.
L’unica volta che avevo avuto il piacere di colloquiare con lui fu presso un bar storico di Piazza Vittorio a Torino. Mimmo l’ingegnere era con Angela, una donna che aveva fatto le scuole medie con me tanti anni prima in un piccolo paese dell’entroterra calabrese. Ma non c’eravamo scambiati il numero di telefono, né avevamo, credo, messo in conto di rivederci in futuro, dopo il nostro dialogo. Sì e no c’eravamo intrattenuti cinque minuti, il tempo di bere un caffè e di informarci, con la mia ex compagna di classe, riguardo alla nostra vita presente. Lei insegnava a Torino ed io pure, cosa sulla quale mai avremmo scommesso ai tempi della scuola.
Ero stato raggiunto a scuola dall’ingegnere in persona alle 10 di mattina. Mi invitava ad una cena che si sarebbe svolta la sera a casa sua. Rimasi sbalordito dalla sua richiesta ed accettai senza pensarci un attimo. Solo durante il non breve tragitto verso casa sua pensai allo scenario che mi si poteva aprire quella sera: mi vennero in mente le storie più disparate, ma sempre comunque quietato dalla sicura presenza di Angela. Salii gli scalini uno per volta e mi schiarì la voce, solo come facevo per le occasioni importanti, appena prima di suonare al campanello dell’ingegnere. Mi accolse la cameriera peruviana che si occupò di sistemare il mio cappotto e mi introdusse in salotto; quando Angela mi vide provò meraviglia per la mia presenza e subito dopo disse che il suo compagno sa sorprenderla in ogni occasione. L’ingegnere era in cucina ad ultimare i piatti piemontesi di una cena che sarebbe stata un misto di pietanze calabresi e piemontesi. Ero stato il primo ad arrivare e dopo di me furono accolti altri loro dieci amici. Il padrone di casa mi strinse la mano in modo deciso e non aggiunse nulla al saluto. Dopo i convenevoli ci sedemmo a tavola secondo i posti assegnati.
La vista degli antipasti mi mise di buon umore, ma la cosa che mi sorprese di più fu il buon Nettare di Abramo sul tavolo. Sul tavolo, lo capì presto, c’era una doppia specialità di tutto, una piemontese e una calabrese (evidentemente preparata dalla mia compaesana). Le pietanze si potevano, o forse si dovevano, assaggiare entrambe, ma di vino, per forza di cose, se ne doveva scegliere uno. Solo io e un signore attempato preferimmo il Nettare al Barbera fatto da un contadino e certamente eccellente; in quel momento non potevo venire meno alla mia calabresità, né potevo rinunciare ad un vino che non bevevo da tempo. Stetti sulle mie e mi ingegnai a supporre per quali vie traverse il Nettare, un vino di uve gaglioppo praticamente sconosciuto anche alla quasi totalità dei calabresi, senza pubblicità e non nel grande commercio, fosse in numero di tre bottiglie a debita distanza le une dalle altre sul lungo tavolo approntato per l’occasione. Addivenni alla conclusione che, in qualche modo, nella scelta dovesse c’entrare Angela, che tra l’altro era l’unica astemia tra i presenti. Ragionai sul fatto che anche nel nostro sperduto e sparente piccolo paese dell’entroterra calabrese quel vino è sconosciuto e lontano. Sarebbe bastato chiederlo all’ingegnere per ottenere lo svelamento del fatto, ma a causa della nostra conoscenza labile ci rinunciai. Mentre i commensali parlavano tra di loro ricordai i giorni del sopravvenuto inverno in Calabria, ai tempi in cui ero un laureato in cerca d’occupazione, quando con pochi amici ci recavamo nelle distanti campagne nei pressi delle coste crotonesi, proprio dove erano sbarcati i greci in cerca di fortuna. Un mio amico che aveva fatto l’università a Cosenza aveva conosciuto il figlio del produttore del Nettare e ciò gli permetteva di avere una via preferenziale. La prima volta riuscimmo ad ottenerne soli cinque litri, dal secondo anno una decina. Il cavaliere del lavoro che si occupava, per tradizione di famiglia, dell’intero lungo cammino che porta all’imbottigliamento ci disse che ogni anno ne metteva in commercio tra le 1200 e 1500 bottiglie. Tre, ora, erano sulla tavola di un ingegnere di Torino. La cena fu un misto di sapori, differenti tra di loro ma che per magia si completarono l’uno con l’altro. Venni chiamato direttamente in causa una sola volta, riguardo ad un importante compositore di cui nessuno ricordava il nome e di una cittadina in provincia di Reggio Calabria: Cilea! esclamai, felice del fatto che una vecchia storia d’amore finita male, con una ragazza di Palmi, fosse almeno servita a qualcosa. Per il resto sorrisi molto e feci assensi con la testa in quantità. Grazie per l’invito, una cena buonissima! dissi sull’uscio ad Angela e all’ingegnere. Indossai soddisfatto il cappotto e scesi le scale insieme al mio vicino di posto al quale raccontai brevemente la storia degli amici che andavano a comprare un po’ di vino, da bere in qualche cena d’inverno, nelle remote campagne del crotonese, in Calabria. Quel vino era il Nettare di Abramo, vale a dire quello che era sulla tavola durante la cena appena conclusa! Il mio vicino di posto soffiò nell’aria fredda, indossò i guanti di lana e dopo avermi augurato la buonanotte si infilò in macchina. Il mio racconto non lo aveva per niente incuriosito, ma ciò rientra nella casistica.
Il giorno dopo telefonai all’amico che aveva studiato a Cosenza e che conosceva il figlio del produttore del Nettare. Mi raccontò che sulle strade della Calabria, pochi giorni prima, ne aveva regalato una confezione da sei bottiglie a un ingegnere di Torino, suo collega, tempo prima incontrato nella polvere e vicino ad un monte che doveva essere scavato nella parte finale della penisola italiana, sull’autostrada Salerno - Reggio Calabria.
“Spero che siano state apprezzate da chi le ha bevute” concluse.
“Sicuramente sì” risposi.
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