Racconto in tre puntate (in attesa di riprendere il libro) - DUE e 1/2

Da Bartel
“Allora sono io, sorella”. La suora guarda dritto negli occhi Mastrantonio per accertarsi che non stia mentendo e gli bisbiglia qualcosa, quasi avesse paura di rivelare un segreto.“Guardi sorella, parli pure a voce alta altrimenti non capisco”.La suora allora indica con lo sguardo i coniugi Rinaldi. L’ispettore si spazientisce. “Sorella parli pure, non si preoccupi le ho detto!”.“Ecco, la Vergine Maria mi é testimone che io sono molto affezionata alla signora Diletta anche se si rifiuta sempre di recitare il rosario con noi, ma per il resto è proprio brava, non si lamenta mai, solo ogni tanto tratta male certe altre signore e lo fa perché dice che sono delle vecchie...istupidite” La suora sorride scoprendo una fila di denti bianchissimi e riprende fiato “…però la signora Diletta è anche molto buona con certi ospiti che hanno bisogno di aiuto. E’ fatta cosi, è una rosa con le spine, anche se io le ho detto tante volte che la nostra Rosa Mistica ama le persone come lei, ma che non deve trattare male le signore istupidite, ma del resto é fatta cosi, ma è tanto brava...” . Mastrantonio si riprende dallo stordimento e tenta una difesa contro quel torrente in piena. ”Sorella, sorella è interessante, ma veniamo al punto...” Sorella Maria si offende e smette di sorridere. “Va bene, va bene ci arrivavo se lei mi faceva finire. Insomma oggi la signora Diletta quando è arrivata aveva un musone lungo lungo, infatti ho pensato che presto litigava con qualcuno invece dopo cinque minuti l’ho vista tutta felice e sorridente che parlava allegra e mi è sembrato strano, tutto qui”. Mastrantonio richiude il suo taccuino, che fa molto investigatore,ma che é praticamente bianco perché lui é abituato a tenere tutto a mente e con un sorriso licenzia sorella Wanabe. “Bene, grazie, è tutto molto utile. Se avrò bisogno di lei la farò chiamare, grazie”. La piccola figura di suor Maria Wanabe esce dalla stanza senza salutare e si allontana nel corridoio. Nel silenzio della casa sembra di sentire un mormorio, forse la litania di qualche vecchietta o forse suor Maria arrabbiata. “Torniamo a noi, signori Rinaldi. Signora, sua madre era casalinga…insegnante…insomma cosa faceva prima?” I capelli biondi della signora Rinaldi si staccano dal petto del marito e i suoi occhi arrossati cercano un punto d’appoggio nella memoria. La sua voce esita un attimo. “Mia madre faceva l’operaia”. “Operaia?” Mastrantonio fa fatica ad immaginarsi la piccola donna in una tuta blu, una tuta sporca di grasso come quella di suo padre che riparava auto in un piccolo garage poco distante da casa. “Si, operaia, si occupava di alcuni meccanismi di precisione ai Cantieri Careggi, un mestiere per gente precisa con le mani sensibili e una buona vista. Sa, mio nonno era un orologiaio a Cosenza, mia madre è nata lì, poi mio nonno si è trasferito qui in Liguria dopo la guerra. Mia madre ha imparato il mestiere di mio nonno, poi ha incontrato mio padre ai Cantieri…”. La donna guarda in direzione della foto, la prende, la stringe a se. “Papà era un modellista, costruiva i modellini di nave per i progettisti. Era molto bravo e poi era una persona sempre allegra. E’ morto dieci anni fa. Si è spento come una candela, alla fine non ci riconosceva più,e da allora mia madre vive per i suoi nipotini, i figli di mio fratello Mario, che vive in Sicilia. Sa, Mario è un militare...lei avrebbe preferito vivere in Sicilia, ma non si vuole separare dalla tomba di suo marito. Dice che altrimenti papà si sentirà solo, abbandonato e non se lo merita...e poi mia cognata ha un bel caratterino. Quindi mia madre vive con noi”. Due lacrime trovano la loro strada sul volto della finta bionda.“Voi non avete figli?” Appena formulata la domanda un voce gli urla nella testa “Domanda inopportuna, bella cazzata, complimenti, ma quando impari a pensare prima di parlare ispettore di questa minchia!!!”“Mi scusi signora, non sono fatti miei...” “No, no non importa. Vede noi non possiamo avere figli. Non si preoccupi, abbiamo deciso di adottarne uno, sa stiamo preparando tutte le carte, sa la burocrazia, ma non importa, l’importante è riuscire, sa...”“Certo, certo...dottore possiamo vedere la camera del Cavaliere e chiudere a chiave questa,per favore?”   Il medico è l’ultimo ad uscire e sfiora la mano del signor Rinaldi con la sua. I loro sguardi si   incrociano per una frazione di secondo. Il balenare di blu e verde increspa le labbra del giovane. L’uomo si gira e con un braccio avvolge le spalle della moglie.
“Perché mi sudano sempre le mani? Perché? Le lavo ancora e ancora, però sudano sempre. Prima non era così. Prima di quella notte non è stato mai così.Quella notte avevo le mani bagnate. Non è stata colpa mia, non è stata colpa mia. Lo sanno tutti che non è stata colpa mia”.Irvhani cammina tra le strade e i vicoli di Genova dove, in alcuni punti, puoi toccare entrambi i lati del vicolo allargando le braccia. Ogni tanto alza lo sguardo al cielo e guarda i rettangoli stretti di azzurro mezzogiorno, senza nuvole e vorrebbe essere altrove. Ha fame. E’ mezz’ora che segue quella vecchia con le pantofole che spinge con rabbia un vecchio in sedia a rotelle. La vecchia in pantofole deve essere pazza. Spinge la sedia e parla ad alta voce nell’orecchio del vecchio che muove appena la testa per allontanarsi dall’urlo. La vecchia parla e continua a parlare, ma solo Irvhani e il vecchio la ascoltano, gli altri scivolano via come l’acqua sporca che scende da qualche vicolo laterale e allaga tutt’intorno.

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