Magazine Cultura

Racconto intelligente

Creato il 01 febbraio 2011 da Maurizio Lorenzi

Pubblichiamo un racconto scritto da Martina Cimmino, ragazza di 16 anni che frequenta la III classe del Liceo Scientifico Grigoletti di Pordenone. 

RACCONTO INTELLIGENTE

proferssore
Facendo un corso di scrittura creativa all’università, imparai una lezione che cerco ancora di tenere a mente. Tutto iniziò, quando un giovedì, il relatore entrò in aula senza libro o valigetta. Esordì: “Oggi parleremo di me e di voi: non più di come si scrive una storia, ma di come una storia da raccontare prende vita dentro le nostre teste.” Posai per un istante la penna, dimentica dei ghirigori con cui stavo abbellendo la pagina intonsa. Un pizzico di curiosità si stava facendo strada in me; speravo, insomma, di passare qualche ora usando l’immaginazione piuttosto che le mani riempiendo pagine di appunti.

Il corso non mi insoddisaceva totalmente ma la scrittura creativa pensavo fosse ben altro dalle estenuanti e ininterrotte lezioni su come si inizia un libro o su come un racconto diventa romanzo. Verso la fine dell’ora mi perdevo nei miei mondi, luoghi che riguardavano me sola,dove potevo usare l’immaginazione per creare storie molto più entusiasmanti di quelle incontrate nelle ore di corso. Tuttavia quel giovedì sentii che qualche cosa era cambiato: negli occhi del “prof” (come mi veniva più facile chiamarlo) brillava una luce nuova, ricca di emozioni che sino ad allora non avevo mai notato. Poggiandosi sulla cattedra lanciò un quesito che fluttuò su di noi come l’incantesimo di un mago a cui nessuno può sfuggire. La domanda restò sospesa, ingrandendosi nella stanza fino ad occuparla tutta. : “A quanti di voi è capitato di seguire una strada che non fosse quella sperata?” Tutti restarono allibiti. L’uomo che pronunciò questa frase era di un cinismo e di una concretezza disarmanti.

Tutti credevano che fosse già nato con l’idea di fare il professore, con l’idea di seguire una strada tracciata da lui stesso grazie ad anni di studio e dedizione! Invece no: ci raccontò di come il suo sogno fosse fare l’architetto. Fin da bambino i Lego furono la sua passione. Crescendo imparò ad amare gli edifici e la storia della loro costruzione, le linee che permettevano agli acquedotti romani di sfidare i secoli e sopratutto crebbe in lui la voglia di seguire la strada percorsa prima di lui dal nonno materno. All’età di quattordici anni ne parlò ai genitori, pregando loro di iscriverlo ad un istituto per geometri; suo padre medico e sua madre laureata in filosofia non ne vollero sapere e lo iscrissero al liceo classico.

Durante gli anni di liceo imparò ad ammirare, più che le loro costruzioni, il popolo che riempì l’Europa di grandiose opere come il Colosseo e gli altri innumerevoli anfiteatri ed acquedotti. Terminò la scuola superiore con il massimo dei voti, tuttavia il pallino dell’architettura non si era ancora estinto in lui. Finite le prove scritte, sua madre lo portò con sé in un caffè poco affollato e gli fece un discorso piuttosto serio: “Vedi figliolo, cinque anni or sono ti feci iscrivere al liceo invece che all’istituto tecnico per un motivo che a quel tempo non avresti mai compreso. Ti ho visto crescere e con te ho visto svilupparsi l’amore per l’architettura, ma vidi anche qualcos’altro di più nascosto farsi strada in te: la passione per la lettura. Divoravi i libri più difficili con il minimo sforzo e impegnavi altrettanto tempo a finirli.

Questo ti veniva assai più facile che prendere squadra e compasso e progettare un edificio.” Allora pensai di indirizzarti verso ciò che ti veniva più facile invece che verso ciò che amavi. Ho sofferto molto nel farlo, ma spero che ora tu comprenda che, spesso, ciò che amiamo non ci viene bene come ciò che è innato in noi. Il “prof” ci confessò che rimase positivamente sconvolto da questa rivelazione che gli aprì gli occhi e divenne la sua filosofia di vita. Ci disse:” Sta tuttavia a voi, e solo a voi, scegliere di fare ciò che amate, rischiando di fallire o percorrere un cammino indirizzato verso ciò che vi viene più facile. Io, se tornassi indietro, non farei architettura perché arrivato ormai a metà della mia vita, guadagno grazie a ciò che fa parte di me e che posso mettere a disposizione degli altri nel modo più totale e consapevole. Scegliendo ciò che amavo avrei faticato molto di più per raggiungere un livello più basso di quanto mi sarei aspettato!”

Ha fatto una scelta conveniente, più che una scelta dettata dalle sua passioni. Però penso che, visti i risultati che ha ottenuto, forse sia la cosa più intelligente da fare.

Ciononostante mi resta un dubbio: che cosa darebbe più soddisfazione: inseguire un sogno e realizzarlo o scegliere la strada più facile per non rischiare di essere delusi da un fallimento? Vivere senza tentare significa vivere con il dubbio che ce l’avresti potuta fare.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :