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Racconto: Luci e ombre di follia

Creato il 05 dicembre 2010 da Zetaman
Prendete uno scrittore noir, come Paolo Franchini, uno per il quale la follia umana
è una terra da esplorare bendati, per coglierne meglio le sensazioni, i profumi, i suoni, gli odori; chiedete a uno come lui che cos’è la follia. Il risultato sarà certamente una storia inquietante. Una storia come quella che vi stiamo per raccontare.
Non è follia, ma bisogno. Non è violenza: è desiderio.
L'uomo si muove come un’ombra nella stanza fredda, rischiarato appena dalle tante
gocce di fuoco che danzano sulle punte di cera. Lacrime d’inferno, piccoli mostri che
si muovono a stento, cullati dallo spiffero tagliente che s'infila sotto l’uscio. Sono
gesti sicuri i suoi, sono le mosse decise di chi sa cosa vuole, di chi è abituato a
ottenere senza chiedere. Sempre.
Non è cattiveria, comunque: è certezza. Non è perfidia, è bramosia.
Ordina al ragazzo di non alzare più lo sguardo nel suo e di rimanere fermo,
immobile. Gli strilla di respirare con calma e di smetterla di tremare, di non
muovere le braccia. Lo insulta, anche, ma non sono le parole a fare male: i pochi
stracci che vestono il giovane non sono che garze e quel supplizio va avanti da tante,
troppe ore.
Un altro fremito, un altro strillo, un altro graffio sulla guancia smagrita, scavata dal
buio. Il ragazzo vorrebbe piangere, lasciarsi andare, ma se lo facesse sarebbe peggio.
Sa bene che è così perché è già successo, purtroppo, e non più di due giorni prima; è
per questo che si immagina fuori da lì, che tenta di pensare ad altro, che prova a
trascinarsi lontano da quella figura, e dalla sua frenesia, almeno con l’anima. Ogni
sforzo è vano, però, inutile come il tappeto logoro su cui è costretto.
L’uomo si avvicina di un passo e squadra di nuovo il giovane, l'efebo smorto
costretto a chiamarlo maestro, poi torna a muovere la mano. Con delicatezza,
questa volta. Lascia correre la punta delle dita sul braccio teso che vorrebbe
mordere e sulla spalla che sbuca proprio là dove le tenebre sono davvero cattive.
Mormora un'ultima parola fra sé e raggiunge lo sgabello nell'angolo: il giovane se ne
può andare. L'uomo glielo fa capire solo con un gesto del capo, come ogni sera.
Può soffiare sulle candele e lasciarsi inghiottire dal buio, può scomparire fino al
tramonto del giorno dopo, fino al momento in cui i riflessi delle piccole fiamme lo
accarezzeranno di nuovo per riconsegnarlo alla tela ruvida. All'immortalità che il
suo maestro, l'uomo detto il Caravaggio, ha scelto di riservargli.
Luci e ombre di follia scritto da Paolo Franchini

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