Buonasera a tutti. Vi lascio la vera foto mia e di mio marito e il racconto gratis di come ci siamo incontrati e innamorati. :)
Quando meno te lʼaspetti
Non avevo fortuna con i ragazzi, era un dato di fatto. Dopo una storia finita male con un compagno fisso, Gabriele, i rapporti seguenti erano stati un disastro.
Obiettivamente, passando ancora in rassegna quei rapporti inconcludenti, mi rendevo conto di aver solo sprecato il mio tempo. E, soprattutto, con ragazzi che niente avevano a che vedere con il principe azzurro che, prima o poi, speravo di incontrare.
«Ancora con la testa tra le nuvole, eh? Sei proprio irrecuperabile!!!» mi fece notare la mia migliore amica.
Era luglio e, come capitava ogni anno, i suoi genitori in quel mese andavano in ferie e le lasciavano la loro villetta in custodia.
«Stavo solo riflettendo… è diverso!» risposi piccata.
«Scusa Evy, ma dovresti proprio finire di prepararti. Sabrina sarà qui tra poco, e tu sei indietro.»
Esitai, per poi replicare:
«Oh, andiamo! Non sono tanto indietro. Ma Sabrina chi? La tua amica capellona e con un carattere alle volte degno di Hitler?»
«Esattamente» mormorò, finendo di mettersi il mascara.
Dai tempi del liceo, Francesca non era cambiata di una virgola: disinvolta, brillante e spigliata con i rappresentanti del sesso forte. Oltretutto, non era difficile che perdessero la testa per i suoi capelli rossi e il fisico snello.
Io, al contrario, con i maschi davo il peggio di me. Piacevo fisicamente per i miei capelli biondi e gli occhi azzurri, anche se non ero una taglia S, ma poi fallivo nella prova carattere.
La cosa brutta era che mi davano della bambina viziata, della sognatrice senza i piedi per terra, oppure dellʼingenua o della simpatica, che solo come amica poteva andare.
Mi stavo seriamente convincendo che sarei rimasta zitella, nonostante la mia giovane età, quando la mia amica si era messa in testa di aiutarmi, facendomi apprezzare la vita da single. E devo dire che ci stava proprio riuscendo.
«Su Evelyn, non ricominciare a perderti via. Seguimi in taverna e lascia fare a me» decretò di nuovo Francesca con la sua voce decisa.
A quel punto, la seguii di sotto, dove lei prese lʼasciugacapelli e la spazzola e mi acconciò i capelli. Poi, passò a rifinirmi il trucco sugli occhi.
«Come sto? Meglio le ballerine o le scarpe con il tacco?» le domandai ansiosa.
«Tesoro, stai benissimo. E le ballerine sono perfette con il tuo vestito.»
Anche Francesca stava molto bene, con il suo top sgargiante, i jeans e i sandali coordinati.
La voce di Sabrina, dal piano di sopra, interruppe il nostro scambio di battute.
«È permesso, bellezze?» ci gridò con la sua solita irruenza.
Francesca le rispose:
«Sabry, raggiungici! Ci stavamo mettendo in tiro, ma vorremmo un tuo parere.»
Mentre lei scendeva, mi sentii assalire dalla gelosia. Si stava legando sempre più a Francesca, ma io restavo la sua amica più cara, non doveva dimenticarlo.
Eppure, quando mi ritrovai Sabrina davanti, feci buon viso a cattivo gioco e la salutai cordialmente.
«Ti trovo molto bene in gonna» mormorai.
«Effettivamente, è un miracolo che me la sia messa! Mi ha convinta mia sorella. Evy, sei proprio divina e tu, Francy, non sei da meno.»
La osservai meglio. I capelli lunghi e castani le ricadevano sulla schiena fino alla vita, mentre una t-shirt bianca era abbinata alla minigonna e alle scarpe da tennis.
«Pronte? Vi porto a Como» ricominciò Sabrina.
«Como?» ripetemmo io e Francesca.
«Sì, hanno aperto un nuovo locale» specificò. «Dicono che sia facile incontrare tipi da sballo, perché allʼentrata fanno discriminazioni e, se sei out, non entri.»
Non la lasciammo finire e salimmo le scale, seguite da lei, che di nuovo ci spronò a mostrare più entusiasmo.
«Voglio fare strage di cuori! Anzi no; mietere più vittime, passando dallʼuna allʼaltra con disinvoltura e divertendomi. E voi due?»
«Veramente no» risposi leggermente schifata perché non ero il tipo.
«Certo che sì» ribatté, invece, Francesca.
Così Sabrina ripartì allʼattacco:
«Beh, dato che sei una moderna Giulietta totalmente diversa da noi avventuriere della notte, scommetto che stasera incontrerai lʼuomo dei tuoi sogni, cara Evelyn.»
Non so perché utilizzò quel “cara”, dopotutto, non eravamo amiche nel vero senso del termine. Ma le risposi, stringendomi nelle spalle:
«Io non mi farei illusioni su me e “Mister Perfezione”. Mi sa che perderai la scommessa».
Comunque, per non rovinare la festa a nessuna, finsi di mostrarmi entusiasta anche durante il viaggio in macchina, ma in realtà non mi faceva né caldo né freddo lʼidea di andare a caccia di uomini. Anzi, ero più tentata di scappare che altro.
La vitalità e la gioia delle altre, però, cambiarono la mia visione delle cose e, una volta dentro al locale, mi lasciai andare.
Come aveva detto Sabrina, era un posto alla moda; in più, la “fauna maschile” era decisamente notevole. Ma io, tra tutti i belli presenti, incrociai lo sguardo con un adone sulla ventina, dai folti capelli castani e un volto vagamente alla Richard Gere.
Lasciai che le altre andassero a ballare, limitandomi a sedermi su uno sgabello, e ordinai una bibita ghiacciata al banco. Fu lì che lui si fece avanti.
«Ciao. Sono Samuele. E tu, amore, chi sei?»
«Mi chiamo Evy» dissi quasi sottovoce.
Samuele riuscì a sentirmi lo stesso e replicò:
«Evy sta per Evelyn, suppongo. È un bel nome! Sei della zona?»
«Hai indovinato il mio nome, bravo. Non era poi così semplice da intuire. E no, disto una quarantina di minuti e non ci sono mai venuta qui. Anche se non è niente male.»
Non ero in me. Stavo alternando sprazzi di timidezza a momenti in cui ero quasi logorroica.
“Oh mamma, chissà che impressione avrà di me,” pensai scioccata.
Stavo per aspettare la sua prossima domanda per riscattarmi, quando Francesca si avvicinò di soppiatto e, con nonchalance, si presentò a Samuele. Gli rivelò anche che mi sarei fermata a dormire da lei, insieme a Sabrina, e che avremmo avuto piacere che si unisse a noi, magari portando un paio di amici per pareggiare il numero.
Io non avrei mai invitato un estraneo a casa la sera stessa, ma era tipico della mia amica venirmi incontro non badando alle possibili conseguenze e senza farsi problemi di sorta.
Samuele chiamò a rapporto Massimo e Federico, un poʼ meno carini di lui, ma simpatici. In ultimo, ci raggiunse anche Sabrina, che ci sembrò contrariata di lasciare il locale prima del previsto. Ma poi, con unʼalzata di spalle, uscì fuori seguita da noi, e fece strada ai tre ragazzi fino alla casa di Francesca.
Ci stabilimmo in taverna, e subito Samuele mi diede un bacio. Ero perplessa e gli spiegai che non cercavo unʼavventura, quanto semmai una storia seria. Sempre che fossi stata pronta a viverne una in quel momento, e non lo sapevo. Ma se dovevo scegliere tra una botta e via e il rimanere single, avrei scelto la seconda.
Non so se fu colpa del mio discorso, ma mi liquidò.
«Mi sa che sono troppo stronzo per te. Non sarò io il tuo principe azzurro, però si vedrà…»
Lasciò la frase in sospeso, di proposito, e tornò dagli altri.
Ero delusa, specialmente quando non si fece scrupoli a provarci con Sabrina. Lei sì che era nelle sue corde.
In quanto a lei, ne approfittò, ma almeno mi fece intuire che chiedeva il mio permesso per fare ciò che avrebbe fatto.
Non so come feci a capirla, dato che mosse solo occhi e testa, ma intuii i suoi propositi e, facendomi forza, le feci un cenno dʼassenso. Tanto, la mia occasione con Samuele era sfumata e poi non ci perdevo niente con un tipo simile.
Tuttavia, mi aspettavo più considerazione per la mia autostima calpestata e per il fatto di essere presente, invece niente.
Francesca era dispiaciuta per me, ma non li fermò. Forse, nemmeno lei si aspettava che si spingessero tanto oltre da continuare le loro effusioni amorose in unʼaltra stanza. Peccato che udimmo lo stesso i loro mugolii fastidiosi.
Era ufficiale che mi sentivo umiliata, ferita ed estremamente irritata per lʼaudacia che avevano avuto di stare insieme in casa dʼaltri. Ma anche perché avevo ricevuto un bacio da Samuele che non valeva niente, dato che lʼattimo dopo esisteva solo Sabrina.
Me ne feci una ragione e ci misi una pietra sopra. E per mia fortuna, quello fu troppo anche per Francesca, che spedì tutti a casa propria tranne me.
Passammo la notte e il giorno seguente a parlare di uomini, mentre io straparlavo di rimanere single a vita o di farmi monaca con il nome di Suor Giuseppa, e la sera la accompagnai al pub dove lavorava e le feci in qualche modo compagnia.
In realtà, ero io ad avere bisogno di lei. E la aspettai a un tavolino per qualche ora, scrivendo messaggini, guardandomi intorno e giocando con il cellulare.
In fondo, si trattava di resistere ancora una mezzora e avremmo avuto quello che restava della notte da passare insieme, tra cibo spazzatura e vecchi film.
Stavo quasi per addormentarmi quando un vociare attirò la mia attenzione.
Voltandomi subito, mʼimbattei in Samuele, nei suoi due amici dellʼaltra volta e in Sabrina. Con loro, cʼera anche un attraente sconosciuto.
Stavo per dare di matto e mandarli a quel paese, ma fu Francesca a inveire contro di loro, pur nei limiti. Dopotutto, stava sempre lavorando.
«Che ci fate qui? Non siete i benvenuti» li investì.
La sua voce acida e irosa mi travolse, ma a Sabrina non fece effetto. Difatti, con assoluta calma, spiegò le loro ragioni:
«Senti Fra, so che tu sei incacchiata con me e Samuele. Ci spiace, non dovevamo fare… gli esibizionisti a quel modo a casa tua. Ma vorremmo rimediare, anche con Evelyn.»
«Mi chiedo in che modo potreste riparare al vostro sbaglio. Facciamo così: venite tutti a casa mia. Ancora un poʼ e finisco il turno, ma non vi darò una seconda occasione per rimediare. Non fatemene pentire!» sbottò alla fine Francesca.
Sinceramente, non me lʼaspettavo. La mia amica avrebbe potuto prima consultarsi con me, ma era fatta. Anche se un risvolto positivo cʼera: lo sconosciuto che si erano portati dietro. Mi intrigava e, per lui, decisi di vedere che piega avrebbe preso la nottata.
Subire la tortura di stare nella stessa stanza con Samuele e Sabrina fu più dura del previsto, più che altro per essere stata sedotta e abbandonata nel giro di un nano secondo da lui, e “tradita” da una specie di conoscente e pseudo amica nel caso di lei. E tutti i presenti eccetto Giulio, il nuovo ragazzo del mistero, lo sapevano. Che figuraccia!
Mi stavo crogiolando nel mio brodo, nel lato opposto della mansarda rispetto al loro, quando Samuele mi aveva raggiunta.
«Ti avevo detto che non facevo per te, Evy, ma ho portato lui…»
Rimasi a bocca aperta. Samuele mi stava dicendo di avermi portato quello che secondo lui poteva essere un principe azzurro in carne e ossa.
Ma davvero credeva che bastasse così poco? Insomma, era da pazzi pensare che potesse funzionare quellʼincontro pianificato. E se io e Giulio non ci fossimo piaciuti?
Di solito, le cose accadevano per puro caso. Ma Giulio era lì solo perché Samuele gli aveva parlato di me, altro che fato o casualità.
“Voi tutti potete pure programmare il nostro incontro, ma non dirigerete mai le mie emozioni”, pensai in allerta.
Samuele tornò da Sabrina, con cui seppi facevano coppia dalla sera da dimenticare, tuttavia Giulio era ancora al suo posto, in piedi e difronte a me.
Non sapevo se esserne lusingata o se avrei dovuto strisciare via come un verme, per non fare una delle mie solite figure pietose dettate dalla timidezza.
«Posso farti compagnia?» mi chiese lui. Il suo sorriso era disarmante.
«Prego… non è mica casa mia. Puoi fare quello che vuoi.»
Giulio si accomodò a due spanne da me, su una panca. Era molto alto e magro, con un profilo da dio greco e capelli scuri che più neri non si può. Rimasi colpita dal modo in cui i suoi occhi castani squadravano i miei, dal mento tipicamente maschile e dalle mani grandi e affusolate.
Dovevo ammettere che, senza ombra di dubbio, era proprio il mio tipo. Più di Samuele. Eppure, nella mente, mi frullava ancora lʼidea balzana che sarei rimasta zitella, perché il principe azzurro esisteva soltanto nelle favole o nei romanzi. Inutile anche solo sperare che avrebbe potuto funzionare.
Così, invece di essere me stessa, feci di tutto per far fallire quel nostro primo incontro.
Dopo essermi presentata, gli parlai a raffica, confidandogli la mia fobia per i volatili e sparando battute da quattro soldi. Alcune divertenti, altre meno.
Speravo che, trovandomi un poʼ stramba, si sarebbe convinto che non facevo per lui, risparmiandomi io unʼaltra cocente delusione nel caso mi fossi accorta che mi piaceva sul serio. Come dire che preferivo far fallire subito la cosa, con poco dolore, piuttosto che starci male in seguito e in maniera decisamente triplicata.
Ma andò diversamente, perché lui ripartì con le domande.
«Perché non mi dici qualcosʼaltro di te? Per esempio dove vivi, se sei figlia unica e quanti anni hai. Ci terrei!» esclamò Giulio, piegando le labbra in un altro sorriso da togliere il fiato.
Risposi solo alla prima domanda senza dirgli la città, dimenticandomi di dare risposte stupide e studiate, ma lasciando che scaturissero spontaneamente. Dopotutto, non capivo nemmeno cosa ci facesse ancora lì; ero stata un disastro, fino a quel momento. Ma tanto valeva impegnarmi per non dovermi pentire di non aver fatto il possibile.
Giulio intanto mi ascoltava. Mi ero anche accorta che con gli altri non era loquace, però con me si stava aprendo, rispondendo a sua volta ai miei interrogativi.
«Da quanto conosci Samuele e i ragazzi?» gli domandai ancora.
«Da una vita. Siamo vicini di casa a Como. Abbiamo pressapoco la stessa età. Io per la cronaca ne ho quasi ventiquattro.»
«Ah, io sono di Varese e, sempre per la cronaca, ho un anno meno di te. Sono figlia unica, il che non posso dire mi piaccia. E tu?»
«Ho due fratelli maggiori e una sorella minore.»
«Devʼessere bello crescere con qualcuno, amici a parte. Io sono diventata grande con i gatti. Li adoro, ma non è come avere delle persone» puntualizzai.
Giulio mi prese la mano e disse:
«Sì, se ci vai dʼaccordo, è un dono prezioso avere dei fratelli. Mi spiace che tu non ne abbia avuti, ma penso che sei stata comunque in buona compagnia, perché i gatti sono favolosi. Tornando a te, mi sembri tanto sensibile, sei molto diversa dalle altre. Io…».
Non riuscì a finire di parlare per via dei suoi amici che lo chiamarono per una partita a calcetto.
La delusione si impossessò di me perché, inutile negarlo, cominciavo a trovarlo interessante anche caratterialmente. E ingenua, romantica e lontana dalla realtà comʼero, ero anche facile allʼinnamoramento, nonostante predicassi di trovarmi bene anche da sola, piuttosto che con la persona sbagliata.
Lo vidi fare tiri precisi e veloci, che diventarono meno potenti quando subentrai io al posto di Federico. Che dolce!
Apprezzai la delicatezza con cui mi trattava e il fatto che, una volta finito di giocare, tastò il terreno, ma sempre rispettando i miei tempi e le mie idee. Ma più di tutto, gli fui grata di tenere le mani a posto, anche quando scendemmo in salotto per stare da soli.
Vedevo il suo interesse per me crescere a vista dʼocchio, non solo come donna, ma anche come persona. E di questo avevo bisogno.
Se proprio dovevo avere un uomo, ne volevo uno che mi apprezzasse in tutto il mio essere come stava facendo lui, e continuai a pensare sempre di più che valesse la pena darci unʼopportunità.
Giulio lo comprese, provando a baciarmi solo quando si stava facendo davvero molto tardi ed era sul punto di tornarsene a casa.
Prima che le sue labbra si avvicinassero alle mie, però, fui colta dal panico.
Lo rifiutai, ma solo perché non volevo che pensasse che lo consideravo una seconda scelta dopo Samuele.
Purtroppo, invece, Giulio non intuì i problemi che mi stavo facendo. Pensò a un rifiuto. Così, visibilmente deluso, se ne andò con gli altri.
Senza un recapito dove contattarlo per fargli capire che aveva frainteso, mi sentii frustrata e colpevole. Tanto che scoppiai in unʼinvettiva contro me stessa, che solo Francesca riuscì a interrompere.
Lei mi fece sfogare, ma poi cambiò registro. Mi disse di assecondare i miei desideri e di raccontarle che lieto fine avrei voluto per me, sentimentalmente parlando.
Allora non lo sapevo, ma bastò quel mio racconto a innescare una serie di telefonate che fecero avere a Giulio il mio numero di telefono.
Sei ore e due squilli dopo, risposi alla sua chiamata. Ebbi dei brividi di eccitazione, prima di dirgli:
«Che piacevole sorpresa! Ma come hai avuto il mio contatto?»
Giulio mi raccontò dello scambio di telefonate che cʼera stato. Inoltre, parlammo talmente tanto che passò unʼora.
«Sai che il mio massimo al telefono con una ragazza è stato di sei minuti? Mi hai fatto un incantesimo?» scherzò Giulio.
«Forse, ma è lo stesso incantesimo che ha colpito anche me. Non ti dà fastidio che io e il tuo amico ci siamo baciati?»
«Evelyn, tesoro, no, perché lui non faceva per te. Mentre io credo di fare al caso tuo.»
«Giulio, non lo so… mi piaci, ma abitiamo distanti. E poi abbiamo vite diverse, i nostri stessi genitori hanno vite e mentalità opposte. Non vorrei che finissimo come Romeo e Giulietta.»
«Vorrà dire che, se tu commetterai qualcosa di avventato, unʼaltra tomba si unirà alla tua, e sarà la mia. Proprio come è successo a Romeo alla vista della morte apparente della sua Giulietta. Lʼha creduta morta e ha preso il veleno, ponendo fine alla sua vita. Ma spero che non muoia nessuno, perché voglio amarti per tanto tempo.»
Gioii come non mai per la sua dichiarazione. Insomma, andava bene innamorarsi alla velocità di Speedy Gonzales come era accaduto a me, eterna sognatrice romantica innamorata dellʼamore, ma lui era un maschio. E i maschi di solito ci mettevano di più. O no?
A dir la verità, Francesca mi aveva riferito le parole di Samuele su Giulio, ossia che aveva le mie stesse idee: mai buttarsi in una storia senza che i sentimenti governassero le emozioni. Però avevo ancora qualche remora, anche se forse mi stavo solo facendo troppe paranoie inutilmente.
Ci rimuginai e giunsi alla conclusione che forse era quello giusto. Iniziai anche a farmi dei castelli in aria, mentre la cornetta del telefono si stava allontanando pericolosamente dal mio orecchio.
«Evy, non dici niente? Così mi uccidi» mi riportò alla realtà lui.
«Scusa. Sento che potrei amarti per sempre, e mi sto sbilancio moltissimo, ma molto dipende anche da te. Se fai un passo indietro a questo punto, dovrai raccogliermi con il cucchiaino.»
«Non ti preoccupare. Dovremo soltanto vederci molto spesso, così potrò dimostrarti quanto tengo a te e come il colpo di fulmine nei tuoi confronti mi abbia letteralmente folgorato. Cominciamo tra… cinque minuti?»
«Sdolcinato poeta che non sei altro, e impaziente per di più, facciamo che ci vediamo domani.»
«La fai sembrare una brutta cosa, ma a domani.»
Il giorno seguente ci incontrammo e tutto andò bene. Lo stesso accadde per i successivi appuntamenti, fino a quando, tre anni dopo, ci sposammo. E in quattro anni nacquero due figli.
Avevo coronato un sogno dʼamore e potevo gioire del principe tutto mio che avrei goduto per la vita.
Evelyn Storm 2014 ©