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Racconto: U seciaru (parte II)

Creato il 03 febbraio 2011 da Spaziokultura
Nel mio paese non c'era un artigiano vero e proprio che riusciva a ricostruire le sedie. Magari qualcuno era pure in grado di ripararle, ma "u seciaru è n'atra cosa", si soleva dire  riferendosi all'abilità riconosciuta e mai sottostimata di quest'artista. L'arte infatti di ricostruire la sedia era propria di un signore dai capelli canuti e all'indietro che veniva forse dalla vicina Catanzaro. Ricordo che camminando tra le viuzze qualche vecchietta ti apostrofava di chiamarle "u seciaru" qualora lo si vedesse in giro. Ormai per noi ragazzi era una presenza tanto ricercata in paese quanto scontata, tanto che solo quando non lo vedemmo più ci accorgemmo che forse era più l'abitudine di vederlo che la certezza che ci sarebbe stato per sempre. Lavorava soprattutto le sedie più piccole, quelle che si utilizzavano per stare vicini vicini al focolare e che, nelle calde serate d'estate, si cacciavano fuori per recitare il Rosario. Non essendo del paese, lo si aspettava, e quando arrivava passava di via in via a recuperare il tempo perduto. Allora non si buttava niente e nemmeno le sedie si sottraevano al rito della ricostruzione che poi è diventata restaurazione. La sua presenza era segnalata dalle sue grida - " u seciaru"- e tutti si affacciavano, chi per fargli le consegne, chi semplicemente per salutarlo. Si piazzava allora seduto sui gradini delle "rughe" e iniziava il suo armonico intrecciare. Era facile trovarlo "alla Vallotta" vicino "Parmina" dove lo spazio gli permetteva di muoversi più tranquillamente. Lavorava fino a tarda sera spesso, per poi rientrare nella sua casa e  dalla sua famiglia. In fondo però in tutti paesi si sentiva di casa. Chiamava per nome tutti e tutti lo conoscevano; chiedeva degli zii, dei nonni mentre svolgeva appassionatamente il suo lavoro. Poi quando finiva riprendeva tutto ciò che gli apparteneva e trascinava gli attrezzi del mestiere in un'altra via e qui ancora ad offrire la sua arte.

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