Il governo di Pyongyang è noto fin dagli anni ‘90 per aver perpetrato una lunga serie di “rapimenti internazionali”, episodi che non hanno coinvolto solo il continente asiatico ma che si sono estesi fino a raggiungere anche l’Europa. I rapimenti, iniziati dopo la guerra di Corea e terminati negli anni ‘80, hanno coinvolto in particolar modo il Giappone, dove la questione – di grande risonanza all’interno dell’opinione pubblica – ha il nome di rachi mondai (problema dei rapimenti).
Dal Giappone, oltre che cittadini nazionali, sono stati prelevati anche alcuni individui di nazionalità Nordcoreana, ricondotti forzosamente nella Repubblica Popolare. Si sono verificati casi di rapimenti riconducibili al governo di Pyongyang anche in Tailandia, in Italia (dove fu rapita una cittadina Romena), in Libano e nella Repubblica di Corea. Il caso del Giappone rileva tuttavia, oltre che per la quantità di vittime (Tokyo ha accertato almeno 17 casi), anche per la quantità di testimonianze e prove raccolte negli anni dall’intelligence e dalle forze di sicurezza nipponiche.
Il primo caso registrato risale al 1977 e riguarda Yutaka Kume, un uomo di 52 anni scomparso nella prefettura di Ishikawa, al largo delle coste di Ushitsu. A questo caso ne seguirono molti altri, riguardanti soggetti di diverse età ed estrazioni sociali e avvenuti in diverse regioni del Giappone. Le persone rapite furono condotte in Corea del Nord per molteplici ragioni, tra le quali quelle tutt’ora più accreditate sono: il furto di identità da sfruttare come copertura per agenti dei servizi segreti nordcoreani, l’addestramento di questi ultimi a mescolarsi alla popolazione giapponese e infine il reclutamento di nuovi membri per il gruppo Yodo-go, organizzazione terroristica responsabile dell’attentato al volo della Japan Airlines 351 nel 1970, alla quale ancora oggi la Corea del Nord offre asilo1.
Fu proprio l’ex-moglie di uno dei dirottatori della Yodo-go a testimoniare alla polizia giapponese di essere stata istruita a sequestrare cittadini nipponici da Takamaro Tamiya, leader del gruppo, il quale a sua volta eseguiva gli ordini diretti del Supremo Leader Kim Il-Sung. L’obiettivo delle azioni era rivoluzionario, diretto alla creazione di una fazione politica in Giappone che appoggiasse il governo comunista nordcoreano e che fosse in grado di svolgere un ruolo di primo piano all’interno della società civile e politica giapponese. Il coinvolgimento della Yodo-go nel rachi mondai – e quindi il legame tra l’organizzazione terroristica e il governo della Repubblica Popolare di Corea – sono stati ulteriormente confermati da successive indagini.
Sei donne giapponesi, mogli di alcuni membri dei dirottatori del volo JA351, avevano mantenuto negli anni i contatti con alcuni agenti nordcoreani. Fu una di loro a confessare nel 2002 di aver preso parte al sequestro di Keiko Arimoto, scomparsa a Londra nel 1983 e portata in Corea del Nord. Vi è poi il caso di Kim Hyon-Hui, nordcoreana e tra i responsabili dell’attentato al volo 858 della Korean Air del 1987. L’attentato fu compiuto sotto falsa identità giapponese dalla dirottatrice, la quale dichiarò successivamente di essere stata addestrata a fingere di essere giapponese da Yaeko Taguchi, una cittadina nipponica rapita nel 1978.
Solo nel 2002, la Corea del Nord riconobbe per la prima volta il proprio coinvolgimento nei sequestri, a seguito delle crescenti pressioni esercitate dal governo giapponese. Pyongyang presentò scuse ufficiali e garantì che incidenti simili non si sarebbero più verificati. Fu lo stesso Kim Jong-il ad ammettere in quella sede che la finalità dei rapimenti era l’insegnamento della lingua giapponese agli agenti dei servizi speciali, in modo tale che questi potessero utilizzare una falsa identità per entrare nel territorio della Corea del Sud.
Nonostante le trattative e il processo di dialogo sul tema continuino, ci sono ancora più di dieci cittadini Giapponesi mai restituiti al loro Paese. Di otto di questi è stato comunicato il decesso, mentre degli altri la Repubblica Popolare Democratica nega che l’accesso al proprio territorio sia mai avvenuto.
Riguardo ai presunti decessi, la Corea del Nord ha presentato al Giappone i relativi certificati. È stato tuttavia osservato che, mentre la Repubblica Popolare aveva spiegato che le morti erano avvenute in luoghi e tempi diversi, tutti i certificati erano stati rilasciati dallo stesso ospedale e riportavano dunque timbri identici. Pyongyang è stata costretta ad ammettere, due anni dopo, di aver falsificato la documentazione durante la visita della squadra investigativa giapponese avvenuta nel 2002, non presentando però altri documenti che provassero l’effettiva scomparsa delle vittime.
Numerosi altri sono i punti poco convincenti della versione fornita dalla Corea del Nord. Il governo della Repubblica Popolare dichiarò ad esempio, nel novembre del 2004, che due degli autori dei rapimenti erano stati già processati e puniti rispettivamente nel 1998 e nel 1999. Contestualmente, al Giappone furono presentati i verbali degli avvenuti processi. La documentazione in questione presentava tuttavia numerose cancellature e i riferimenti effettivi ai rapimenti erano estremamente limitati.
Per favorire il ritorno di tutti i soggetti rapiti alle loro famiglie, nel 1996 il sig. Nishioka Tsutomu ha fondato la National Association for the Rescue of Japanese Kidnapped by North Korea (NAKRN). La NAKRN lavorava sul problema dei rapimenti da prima che la polizia giapponese iniziasse ad interessarsi ai singoli casi, raccogliendo prove successivamente utilizzate nelle interrogazioni parlamentari sul tema. Secondo Nishioka il Governo di Tokyo era a conoscenza dei rapimenti perpetrati almeno dal 1978, ma tacque per circa 20 anni per seguire una linea di politica estera tendente ad evitare qualsiasi tipo di problema con i propri vicini.
Un primo risultato della recente riapertura dei colloqui sull’argomento da parte dell’esecutivo Abe è stato ottenuto a Marzo, quando una coppia di anziani giapponesi, i signori Yokota, si sono ricongiunti alla nipote, Kim Eun Gyong. La madre della donna, di nome Megumi Yokota, fu rapita appena tredicenne nel 1977, mentre andava a scuola. Il “caso Megumi” è tra i più rappresentativi, poiché il governo di Pyongyang ha sempre sostenuto che la giovane si sia suicidata nel 1994, restituendo al Giappone i suoi resti dieci anni dopo. Sui presunti resti è stata eseguita l’analisi del DNA, dalla quale è emerso che in realtà erano appartenenti ad un individuo di sesso maschile.
L’incontro tra i coniugi Yokota e la nipote è avvenuto Ulan Bator. La scelta di un paese terzo per tenere l’incontro – la Mongolia – è stato un punto fermo di Tokyo nel corso delle trattative. La Corea del Nord aveva più volte invitato la famiglia Yokota a recarsi a Pyongyang per incontrare la nipote, ma il ministero degli esteri Giapponese ha sempre rifiutato, ritenendo che gli inviti fossero finalizzati esclusivamente ad un ulteriore tentativo del governo Nordcoreano di convincere la famiglia Yokota delle presunte dinamiche della morte di Megumi.
La scelta della Mongolia quale Paese Terzo non è stata casuale. A marzo del 2013 Shinzo Abe incontrò il presidente mongolo Tsakhia Elbergdorj, chiedendo collaborazione sulla questione dei rapimenti e non facendo mistero di puntare a sfruttare i buoni rapporti tra Repubblica Mongola e Corea del Nord, ancora solidi dai tempi del blocco comunista. Al vertice di Ulan Bator sono preceduti almeno tre incontri segreti tra Giappone e Corea del Nord ed è poi seguito un altro bilaterale, avvenuto in Giappone.
Si tratta senza dubbio di sviluppi positivi nel campo delle relazioni tra i due Paesi, anche se la previsione di alcuni che hanno paventato una riapertura del dialogo intergovernativo tra Corea del Nord e Giappone sembra avventata. Shinzo Abe ha senz’altro giocato un ruolo centrale nel ritorno agli onori della cronaca del rachi mondai, coerentemente con nuova linea, più decisa e attiva del passato, impressa alla Politica Estera nipponica. L’esecutivo Abe ha fatto del problema dei sequestri una questione di primaria importanza, soprattutto a causa della grande risonanza mediatica che una risoluzione della questione potrebbe avere, donando ulteriore credibilità e potere contrattuale al Giappone, a livello sia regionale che internazionale.
Il problema dei rapimenti da parte della Corea del Nord è particolarmente sentito dall’opinione pubblica del Paese del Sol Levante, per questa ragione una sua risoluzione sarebbe strategica per Abe anche a livello domestico, in particolare in un periodo come quello attuale, in cui le riforme costituzionali volte all’abolizione del “pacifismo costituzionale” giapponese dividono l’opinione pubblica nipponica. Nondimeno, riaprire i colloqui e riuscire a tenere testa a Pyongyang proprio ora che il Giappone punta a rilanciare il proprio ruolo di leadership nello scacchiere dell’Asia-Pacifico, avrebbe un valore geopolitico non trascurabile. Una risoluzione relativamente rapida del problema non nuocerebbe neppure alla Corea del Nord, che ha forte necessità di ristrutturare la propria economia e potrebbe mirare – in cambio della restituzione dei cittadini rapiti – a richiedere un allentamento delle sanzioni economiche.
Il 22 Maggio, in occasione del decimo anniversario del secondo Summit tra Giappone e Corea del Nord, il Ministro Keiji Furuya, incaricato del rachi mondai, ha dichiarato che il Giappone continuerà ad agire coordinatamente con gli altri Paesi rilevanti e continuerà a cercare la normalizzazione dei rapporti con la Repubblica Popolare di Corea attraverso la risoluzione comprensiva delle numerose controversie tra i due Paesi, incluso il problema dei rapimenti e quello riguardante i programmi nucleari nordcoreani. È un programma in linea con quanto espresso dal Primo ministro Abe, che ha a sua volta dichiarato che sarà la sua amministrazione a risolvere il problema dei rapimenti e che la sua missione non sarà completata fino al giorno in cui tutti i cittadini nipponici prelevati forzosamente non saranno ritornati alle loro famiglie, auspicando con convinzione di essere l’ultimo Primo Ministro ad occuparsi dell’annosa questione dei rapimenti perpetrati dalla Repubblica Popolare Democratica di Corea2.
Bibliografia
Sito web dell’Ufficio responsabile della questione dei rapimenti, Governo del Giappone, http://www.rachi.go.jp/ [ultima cons. 04/10/2014]
Sito web del Ministero degli Affari Esteri Giapponese: http://www.mofa.go.jp/region/asia-paci/n_korea/abduction/[ultima cons. 04/10/2014]
Ministero degli Affari Esteri del Giappone, Abductions of Japanese Citizens by North Korea, 2012 [ultima cons. 04/10/2014]
François Hauter, Les captives étrangères de la Corée du Nord,Le Figaro, 21 Aprile 2008 [ultima cons. 04/10/2014]
Sebastian Maslow, Japan, North Korea and the abduction issue, East Asia Forum, 5 Luglio 2013 [ultima cons. 04/10/2014]
Anthony Di Filippo, Still at odds, the Japanese abduction issue and North Korea’s circumvention, UNISCI Discussion Papers, Nº 32, Maggio 2013, ISSN 1696-2206 [ultima cons. 04/10/2014]
Mihoko Matsubara,Who’s missing? Who cares? The issue of abductions by North Korea, Stanford Journal on East Asian Affairs, Summer 2011, vol. II [ultima cons. 04/10/2014]
Michimi Muranushi, North Korea’s Abduction of Japanese Citizens: The Centrality of Human Rights Violation,RIPS Policy Perspectives No.10, Gennaio 2010 [ultima cons. 04/10/2014]