Una sera di primavera nella Lorena francese culla della nostra Europa, sono stato a iniziato a uno dei fondamenti dell’Unione da due amici, uno rumeno e una francese (di quest’ultima ero innamorato). Il fondamento in questione si chiama Eurovision, una competizione canora tra Stati, una specie di Giochi Senza Frontiere della musica. Funziona così: uno Stato, dopo consultazioni che coinvolgono i massimi livelli (i ministeri degli esteri, della cultura e dei temporali) sceglie un campione e una canzone da mandare a duello. Il duello, nella nostra epoca di non violenza, si svolge su un palco: al posto dello scudo un microfono, una canzone per alabarda. Eurovision coinvolge ogni anno milioni di europei entusiasti. Milioni di milioni in tutti i Paesi. A parte, fino a quest’anno l’Italia.
Questa sera, dopo quasi quindici anni, l’Italia si ripresenta ad Eurovision (ore 20.50, raidue). E’ una notizia straordinaria, europea. I giornali non ne parlano troppo perché occupati con questa cosa del voto. Continuiamo ad avere una visione distorta delle priorità.
Il motivi per cui l’Italia non ha partecipato in tutti questi anni sembrano essere due. Alcuni dicono che l’assenza italiana coincida con il periodo di potere leghista. Può essere vero. Uno come Van der Sfroos a Eurovision non sarebbe ammesso: lì si canta in lingua, come dice mia nonna. E sono vietate le sciarpe in generale, e quelle a righe in particolare (art. 3, comma 4-bis del Regolamento). Il secondo motivo riguarda San Remo. Che senso ha, sostenne a suo tempo Togliatti, partecipare a qualcosa che si ispira a San Remo, se abbiamo già San Remo? La questione è controversa. Perché se da un lato noi qui si ama l’Europa e tutto quello che include la radice “Euro”, dall’altro l’obiezione di Togliatti, senza volerlo, coglie nel segno. E’ una questione di rispetto del sacro. Sono sempre stato contrario alle continuazioni di Pippo Baudo con altri mezzi.