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Radio, 90 anni e non sentirli (Il Tempo)

Creato il 08 gennaio 2014 da Nicoladki @NicolaRaiano
Radio, 90 anni e non sentirli (Il Tempo)Se la televisione è la mamma degli italiani, sessant'anni il 3 gennaio scorso, la radio è la nonna e ne compie novanta in questo 2014. A differenza della tv è arrivata nelle case degli italiani prima della democrazia e della Repubblica, in pieno regime fascista, in un'Italia agraria e povera, solo pochi decenni dopo l'Unità del Paese. È arrivata sull'entusiasmo patriottico della scoperta di Guglielmo Marconi (il suo inventore) e come possibile business per imprenditori visionari, insomma un vero made in Italy.
La prima emittente italiana, dopo le prove tecniche del primo Novecento, è del 6 ottobre 1924 quando l'Unione Radiofonica Italiana (URI) esordì in una sala in Via Maria Cristina, a Roma, nelle vicinanze di Piazza del Popolo. In un modesto appartamento, con le pareti e il soffitto coperti di tende per attutire i rumori, Maria Luisa Boncompagni diede il primo annuncio: «Unione Radiofonica Italiana, stazione di Roma Uno, trasmissione del concerto inaugurale». Seguì l'esecuzione di un quartetto d'archi, l'Opera 7 di Haydn, e poi ancora musica scelta. Infine la prima trasmissione si concluse col bollettino meteorologico e le notizie lette da Ines Donarelli, componente del quartetto d'archi, annunciatrice improvvisata. Il tutto durò soltanto un'ora e mezza. Alle 22.30 le trasmissioni vennero sospese per «far riposare le esauste valvole».
Costanzo Ciano, livornese e babbo di Galeazzo, intuì da subito le potenzialità del nuovo mezzo di comunicazione di massa mentre all'inizio Benito Mussolini (che poi la userà da par suo per la propaganda e i suoi discorsi) la sottovalutò, preferendole il cinema, l'arma più forte. Una sottovalutazione dovuta al fatto che la prima partecipazione in radio di Mussolini, alla fine del 1924, finì male e la voce del futuro Duce (già allora capo del Governo e del fascismo) fu sepolta da un gracchiare e da un fruscio metallico.
Un decreto regio del 1925 stabilì, per evitare la nascita di emittenti private, il monopolio assoluto dello Stato sulle comunicazioni senza fili e le preesistenti imprese furono incorporate nell'URI. Nel gennaio 1925 nacque il Radiorario, settimanale ufficiale dell'URI che pubblicava i programmi con l'intento di propagandare il nuovo mezzo e nel contempo di conoscere meglio i gusti e le opinioni di un pubblico ancora da formare.
Il 27 novembre l'URI iniziava le sue comunicazioni regolari giornaliere. Tuttavia l'alto prezzo degli apparecchi (nell'Italia degli anni '20, uno costava circa 3.000 lire mentre il reddito medio annuo non superava le 1.000 lire) ne limitava l'uso alle famiglie più abbienti. Nel 1926 entrarono in funzione le due nuove stazioni di Napoli e Milano. A un anno dalla prima trasmissione, si contavano in tutto il territorio nazionale, 26.855 utenti. La ricezione incontrava ancora notevoli difficoltà e spesso accompagnavano l'ascolto boati e sibili. Nel 1930 la costruzione del nuovo impianto di trasmissione di Roma-Santa Palomba portò un netto miglioramento. Intanto erano state inaugurate le stazioni di Torino, Bolzano e Genova.
Dopo un primo approccio andato male, nella seconda metà degli anni Venti, Benito Mussolini cominciò a comprenderela portata rivoluzionaria della radio e venne costituita una nuova società, l'EIAR (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche) che assorbì l'URI. Ben presto però ci si rese conto che non bastava costruire nuove emittenti perché il numero degli abbonati era rimasto fermo a causa dell'elevato costo dei ricevitori. Perciò la vera novità fu l'abbattimento dei costi degli apparecchi. Nel 1937 si incominciarono a produrre apparecchi di qualità al di sotto delle 1.000 lire e questo fece aumentare il numero degli utenti, oltre ai ricchi ed ai ceti dell'alta borghesia.
I programmi divennero più popolari, rivolti a tutti i ceti, e nacquero Radio Rurale e Radio Balilla. Negli anni precedenti, comunque, i discorsi del Duce avevano trovato un grande pubblico: la radio sistemata nelle piazze delle città e dei paesi, diffondeva la voce di Mussolini. Il popolo diventava comunità, cambiando in sé il tradizionale consumo del media radio che si vuole individuale. Questo produceva una grande mobilitazione ma anche l'idea di un idem sentire che toccherà il culmine in due discorsi del Duce, nel maggio del 1936 la proclamazione dell'Impero, dopo la conquista dell'Africa Orientale, e nel giugno 1940 la dichiarazione di guerra.
Lo scoppio della guerra cambierà ancora la fruzione della radio che assume un potenziale enorme come mezzo di propaganda sia a uso interno che internazionale. La guerra finisce con la sconfitta del fascismo, l'EIAR scompare e prende il nome attuale di Rai (Radio audizioni Italiane). L'Italia entra nella democrazia e con lei la sua radio. Le prove di libertà, nel pieno del conflitto, erano state fatte con Radio Londra e con il Colonello Buonasera, controcanto degli alleati all'EIAR di regime.
Con la democrazia la radio riprende a raccontare i generi più epici, dalla musica (i primi Festival di Sanremo) allo sport e al tempo stesso apre alle notizie libere. Pochi anni, prima di diventare nonna, con l'arrivo nel 1954 della tv. Si diceva che la tv l'avrebbe uccisa e invece, nel 2014, è ancora qui con noi. Viva e vegeta. Radio(sa).
Massimiliano Lenziper "Il Tempo"

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