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Radio America di Robert Altman. We shall meet on that beautiful shore

Creato il 12 dicembre 2011 da Spaceoddity
Radio America di Robert Altman. We shall meet on that beautiful shoreL'unico motivo per cui ho visto Radio America (2006, tit. or. A Prairie Home Companion) è l'impegno di un cast, se non stellare, almeno molto popolare (Meryl Streep, Tommy Lee-JonesKevin Kline, Lily Tomlin, John C. Reilly) per un film sulla storia della radio, che mi interessa molto; è un po' la stessa ragione che tempo fa mi fece scegiere Radio Days di Woody Allen. Ma non amo Robert Altman, né ne seguo la supposta eleganza. Attualmente, per me il più bel film sui tempi della radio rimane ancora Il discorso del re. Detto questo, e confessata la noia che mi ha suscitato il film in un primo momento - al punto che ne ho dovuto rivedere la fine per parlarne con un minimo di cognizione - devo riconoscere che il film è molto più interessante di quanto la mia istintiva prevenzione mi induca a credere.
La storia è quella di una trasmissione radiofonica sempre in chiusura, A prairie home companion. I membri della troupe registrano per l'ennesima "ultima volta" al teatro Fitzgerald una puntata che vuol essere una summa di un cinquantennio di radio, mentre una donna misteriosa, una strepitosa ragazza con un elegantissimo impermeabile bianco, di nome Asfodelo (Virginia Madsen) attraversa le quinte e le vite di chi ha realizzato quel mondo. E se quegli uomini e quelle donne le avessero chiesto prima il nome e si fossero ricordati un po' di Omero, avrebbero saputo prima che c'è poco da fidarsi di una donna che porta il nome del fiore dei defunti peri Greci.
αἶψα δ᾽ ἵκοντο κατ᾽ ἀσφοδελὸν λειμῶνα,
ἔνθα τε ναίουσι ψυχαί, εἴδωλα καμόντων.
(e subito giunsero nei campi di asfodelo,
dove regnano le anime, immagini di morti.
Odissea
, 24, 13-14)
Radio America di Robert Altman. We shall meet on that beautiful shoreIn realtà, questo mondo di Altman, quest'universo in disfacimento fa fatica a riconoscere la morte perché si muovono in un clima di disfacimento: non credono che faranno ancora una trasmissione e non credono neanche di registrare l'ultima. Ciarlano intorno a questo non-evento con una disinvoltura indegna di peggior causa, allentando la narrativa e la tensione. Sembra che Altman non racconti mai quello che lo spettatore vede, ma sempre i retroscena, l'effimero dietro l'apparenza di uno spettacolo che non deve finire mai.
E dire che, dietro le quinte, succede di tutto. compreso un compagno d'avventura che muore davvero. Qui si verifica il discrimine: cosa prosegue e cosa invece si rompe in ognuno dei personaggi. La risposta del direttore del programma sul tempo che non passa, sull'apparenza di felicità rispetto alla sofferenza reale che non interessa, provoca in tutti una risposta allarmata: ma non è che una sintesi di un'estetica orientata al pubblico. Ciò che filtra sulla scena è il distillato di un'illusione, di un inganno a uso e consumo di spettatori che assistono soltanto al prodotto finito. Per conto suo, invece, il pubblico del film di Robert Altman è in una posizione avanzata sia rispetto agli astanti in teatro che, soprattutto, agli ascoltatori della radio, costretti a sentire distratti, a scegliere, se capita, quella frequenza, altrimenti a perdere ogni traccia di quelle storie.
Ma questo progressivo discrimine rimanda all'inaccessibilità della vita di queste anime sofferenti e buffe loro malgrado, un po' checoviane, che esistono nell'esibirsi, ma provano nondimeno a sfuggire e nascondersi all'incontro con l'angelo che li porterà via. Sarà per questo che, tra un hit e l'altro, si danno appuntamento non tra i campi disseminati di asfodeli, ma sulle luminose spiagge dei beati.

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