Discorsi da spiaggia:
Berluska ritorna. Assurdità da spiaggia, appunto.
Povera Minetti, cacciata in malo modo.
Ma perché non se ne va con stile?
Vendola con Casini e Bersani. Seconda assurdità da spiaggia, ma loro sono assurdi in sé e per sé, come le monadi, anzi sono "monade"!
L’Italia alle Olimpiadi. Peggio di Schwarzenegger… total recall… Judo, scherma, carabina, tiro con l’arco, al piattello, …incetta di medaglie. Manca solo il tiro con l’accetta.
Curiosity sbarca su Marte.
Io credevo che Marte esistesse solo sui fumetti. Fine di un mito.
La spiaggia fa male.
Inizio un mio raccontino. A me stare sotto l'ombrellone fa davvero male...
RADIO X
Non ho mai raccontato storie fantasy. Non è il mio genere raccontare di spiriti, extraterrestri e quant’altro ma vi assicuro che è successo, tutto ciò che scriverò di seguito è successo realmente.
Parlerò di un ufficio, ufficio come mille altri, dove la burocrazia è di casa, dove ci sono le donne delle pulizie, che ormai non sono più donne ma uomini, e per lo più stranieri, che passano a svuotare velocemente i cestini e a pulire con un panno bagnato i pavimenti, lasciando scie virtuali di luminosa freschezza.
Dove ci sono i vecchi impiegati come in un vecchio film che se ne stanno seduti ad aspettare il capo. E il capo arriva e sorride a tutti. Insomma, roba che succede come nei film.
In quest’ufficio, suddiviso da stanze, c’è una stanza. Se ti fermi vicino, non sentirai nessun rumore tranne quello della radio. Si odono inni religiosi, una voce seria parla di personaggi antichissimi.
Ma non è un ufficio parrocchiale. In quella stanza si ascolta la radio ma si lavora a scartoffie, tutte cose che riguardano la gestione del personale, omesse timbrature, malattie, ferie, badge, pensionamento, assunzioni, un bel po’ di cosette, che di solito angustiano i lavoratori dipendenti.
Per quell’ufficio sono passate molte persone.
L’unico punto in comune è che tutti ne sono usciti incredibilmente buoni.
La bontà - mi direte - non si misura ma vi assicuro che la bontà di queste persone è tangibile, simile a quella di un santo.
L’edificio è antico. Non potrei rivelare il segreto però non posso farne a meno. In fondo anche il contesto ha un ruolo importante in questa storia. Si tratta un edificio storico, sede di un ministero. Oltre non potrei divulgare.
Tutto ebbe inizio quando la signora che lavorava in quest’ufficio - parliamo di una cinquantina d’anni fa - notò sopra lo schedario di legno uno strumento insolito.
Era stato portato da qualcuno, ma non si era mai chiarito chi poi avesse veramente compiuto il gesto.
L’oggetto se ne stava lì, immobile, sonnacchioso. A vederlo sembrava di mogano, con una finestra beige e due manopole scure nere.
La signora Maria non l’aveva mai notato. Quando se ne accorse, lo guardò. Era un momento di tranquillità e ormai aveva sbrigato tutto il lavoro quotidiano. Si avvicinò incuriosita: non si ricordava di averlo mai visto prima di quel giorno all’interno del suo ufficio.
Provò a girare la manopola di destra e notò che aumentava il volume e dall’altra si cercavano le varie frequenze. Poi c’era una serie di tasti e provò a premerne uno.
Quell’oggetto era una radio comune, di buona fattura e subito si accese, diffondendo un suono. Maria si rallegrò al pensiero che in quell’ufficio non sarebbe più rimasta sola. Finalmente un po’ compagnia!
La melodia nell’aria era simile ai canti gregoriani. Rimase per un po’ ad ascoltare, poi si stufò e provò a cambiare stazione. La manopola sembrava girare a vuoto. Sbuffò e guardò l’orologio affisso al muro. Erano le sei del pomeriggio: tardissimo!
Solitamente terminava il lavoro alle cinque ma con quell’aggeggio ci aveva perso del tempo.
Prese la sua borsa marrone, richiuse il suo ufficio e uscì fuori dal palazzo. Il portiere come il solito la salutò.
Lo sguardo dell’uomo indugiò un po’ più del dovuto sul sedere della donna, che si stava allontanando per le strade della città.
Forse quand’era giovane doveva essere una bella donna, pensò Maurizioilportiere, osservando la gonna verde diritta che lasciava intravedere nei movimenti le forme aggraziate della signora.
Maria si tirò ben bene il chignon con le forcine che si erano allentate. Per sistemarsi si specchiò nella vetrata del negozio. La rotondità del viso era leggermente segnata dalle guance un po’ molli, traccia dell’incedere del tempo.
Notò con melanconia il bellissimo vestito da sera nero, esposto in vetrina nell’elegante manichino, che ricalcava il tubino alla “Rita Hayworth” mentre canta Put the blame on mame.
Si mise a canticchiare tra sé il motivetto… Lasciando sciolti i suoi capelli, rossi come quelli di Rita, forse le assomigliava un poco. La sera a casa, davanti allo specchio, avrebbe provato. In fondo aveva ancora tanta voglia di vivere. Voleva trovarsi un uomo, qualcuno con cui condividere gli ultimi anni della sua vita. Lavoro, casa, casa, lavoro. Era giunto il momento di una svolta.
In quell’attimo fuggente sentì la voce di una donna gridare: “Osvaldo!”.
Lei si girò e vide quel bambino sfuggire alla mano della madre e precipitarsi correndo nella strada.
Agì d’istinto. Si gettò proprio sul bambino e lo spinse in avanti, mentre la macchina la prendeva in pieno scaraventandola in mezzo alla strada.
Accorsero tutti intorno. La donna era per terra mezza discinta, con la gonna verde alzata tra le gambe. Una posa senz’altro innaturale. I capelli rossi erano sfuggiti alle forcine e ora incorniciavano il bel viso rotondo.
Un uomo le si accovacciò vicino.
“Come sta, signora?”
“Put the blame on Mame, boys
Put the blame on Mame…”, canticchiava Maria. E queste furono le sue ultime parole.
(CONTINUA)
P.S. le foto sono tratte dal web e non hanno alcuna attinenza con il racconto, frutto di mia fantasia.