L'imperfezione ha da sempre consentito continue mutazioni di quel meraviglioso e quanto mai imperfetto meccanismo che è il cervello dell'uomo. Ritengo che l'imperfezione sia più consona alla natura umana che non la perfezione. Così Rita Levi Montalcini a proposito del suo libro, l'Elogio dell'imperfezione.
Non sapendo come possa essere la carne dell'imperfezione – cioè quale sia la sua ipostasi, a cosa corrisponda se abbia o meno evidenza biochimica o più estesamente medica come si presenti che aspetto odore sapore abbia, poniamo, un cervello imperfetto – semplicemente cancello. Ogni giorno svaniscono provo a dimenticare decine forse centinaia di parole e di conseguenza (almeno per me vengono dopo), di immagini. Ciò che esce, quel che scrivo è ciò che penso si possa leggere: continua a essere imperfetto, vero, ma pare per questo esista un discrimine o una soglia che si può riconoscere collettivamente e stabilisce che certe cose siano rigettate, rispetto al poco che è perfettibile e insieme accettato.
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Come se ne vedono in Versilia, era un bar per le vacanze: l'entrata dava sulla passeggiata e sulle bancarelle nei giorni di mercato, il retro, di assi di legno come gli stabilimenti balneari che si stendono alla sua destra e alla sua sinistra lungo il litorale, prendeva il sole dell'ovest, tutte le sere, e il sale del Tirreno. Era la prima estate di riposo dopo l'anno accademico: pulivo bicchieri e servivo panini farciti e aranciate dieci ore al giorno, alla fine del turno correvo sulla spiaggia, la notte leggevo Tobino, per restare in tema, ma mi addormentavo quasi subito e la mattina dopo mi rendevo conto che non ci avevo capito nulla.
Avevo bisogno di fare molte cose per volta e abbandonarle in fretta. Se c'era da apparecchiare disponevo i bicchieri sui tavoli, prima di pensare alle posate passavo le sedie di vimini con lo straccio; poteva capitare che arrivasse gente al banco e allora abbandonavo spray e canovaccio pulivo le mani nel grembiule e pensavo agli aperitivi e ai caffè. Solitamente, quando il padrone si affacciava alla porta, trovava una ventenne pallida e sudata in mezzo a tavoli coi soli bicchieri, oppure con le posate ma senza tovaglioli, o casse di minerale e succhi di frutta appoggiati accanto ai frigoriferi, già aperti, in attesa di essere riempiti.
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Nei bicchieri scompagnati il canovaccio sul pavimento i piatti le tovaglie e i caffè, vive la carne della mia imperfezione, quella che non si può accettare. Continuo a fare cose e le abbandono in fretta. Per questo, credo, il movimento narrativo – che è l'ossatura indispensabile che ogni autore dovrebbe tener per ferma quando voglia scegliere sul serio di cosa farsi genitore (se rifiutare o accogliere la forma romanzo o le sue più prossime parenti, la novella il racconto breve o lungo, il poema), e una volta scelto: avventurarsi – per questo motivo direi strutturale il movimento o la forza narrativa in me non c'è: non so come costruirla e nemmeno se arriverò mai a quello che mi propongo, se non scrivendo e vergognandomi. Il che (curioso!) è ininfluente e allo stesso tempo in piena contraddizione col principio della nonvergogna stabilito all'inizio della mia opera.
boh, per oggi non so dire altro.