RAFFAELO, ovvero se tocchi mia madre ti spiezzo le braccina con la sola imposizione del pennarello, ovvero terapia, magia e narrazione
Da Paterpuer @paterpuerOrmai se ne può parlare perché Raffaello (il nome è comunque di fantasia) non è più in condizioni di nuocere.
La storia risale a qualche tempo fa. Ho già avuto modo di dire che lavorare in comunicazione è bello ma molto, molto stressante. La crisi ha acuito la difficoltà di essere rispettati come fornitori/consulenti e i clienti paiono ormai completamente fuori di senno. E noi giù di stress...
Paola era sotto stress per via di questo Raffaello, cliente “schizzato” , fuori controllo, capace di trattare di merda tutti, di far piangere, di far male, di ricattare in modo sottile ed efficace.
A casa Samuele ne sentiva parlare ma soprattutto vedeva la sua mamma, giorno dopo giorno, distrutta, sempre più disgregata.
Una sera, un venerdì sera, io e lui decidiamo di andare a prenderla in ufficio, tanto sarebbe rimasta lì ben oltre l'orario di cena. Era quasi al tracollo e Samu se ne accorgeva.
In ufficio Samu prende un foglio di carta, si mette al lavoro e dopo un po' torna con una dichiarazione di “guerra protettiva”. Mostra - senza orgoglio ma con uno sguardo che potrei definire da persona profondamente sensibile - la sua opera: “Raffaelo” (con una sola elle) scritto in grande, a tutta pagina, una cornice rossa a circondare i bordi del foglio e sopra il nome una grandissima “X” nera.
Era il suo regalo per la mamma: neutralizzare Raffaello, una “X” che lo cancellava e una cornice che lo conteneva.
Amore filiale, empatia, senso di protezione, gelosia, non si può classificare un gesto del genere; rimane però il fatto che un bimbo, che all'epoca aveva meno di 5 anni, sia riuscito a convogliare intelletto e inventiva per spiegarsi un fenomeno e trovare una soluzione al suo problema.
Il potere delle parole è anche questo: metter su carta è oggettivare e in qualche modo controllare, rendere meno minacciose le cose. Samuele aveva scritto il nome - con tutta la magia che si lega al gesto - del suo nemico, indebolendolo. Poi aveva infierito perché questo non sarebbe bastato a proteggere la sua mamma. Infine aveva deciso di controllarlo, chiudendolo in una scatola senza porte, una cornice rossa a segnalare pericolo. Lui aveva, attraverso una narrazione semasiografica, compiuto un percorso eroico, fatto all'istante ma probabilmente maturato in settimane di decodifica ed elaborazione di segnali.
Con un pennarello, arma semplice ma ritenuta dai più innocua, aveva sconfitto un nemico potente e rabbioso. Un gesto semplice ma talmente genuino e lineare da essere più efficace di mille parole dette al vento, di mille pacche sulle spalle, di mille consolazioni.
Le storie sono terapeutiche ma solo le storie raccontate bene sanno essere qualcosa in più. Per raccontare bene una storia si possono usare solamente le parole che quella storia chiede. Per me questa rimane una storia epica perché il mio piccolo era riuscito a scovare, dalla storia che intendeva raccontare, le uniche parole necessarie per raccontarla.
Voglio dire: credo che non sia stato il gesto in quanto tale ma anche e soprattutto la qualità del gesto ad avere effetto.
E un effetto, mi si creda, lo ha avuto davvero.
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