Specie negli istituti tecnici, ci sono ragazzi (soprattutto maschi) che snobbano l'Italiano, ma dicono di essere - e spesso sono - appassionati di Storia. Non tocca a me ora entrare in questo meccanismo, senz'altro molto significativo, di convinzioni personali e di autoconsapevolezza. Quello che mi interessa cominciare a indagare, a mo' di spunto, è il senso che questi giovani attribuiscono allo studio dell'italiano.
Può un giovane preferire una "storia" fatta - nell'immaginario collettivo - di date e di eventi a una materia più discorsiva, libera e aperta? Se me lo chiedo non è certo perché io immagini la storia come una tavola cronologica da mandare a memoria, quanto piuttosto perché molti sedicenti innamorati di questa materia vanno avanti a date, nomi ed episodi più o meno significativi. Chi fu il primo re del Giappone, quando avvenne questa battaglia, senza avere spesso la minima idea né di dove si trovi il Giappone, né di cosa successe in seguito a quella battaglia.
Faccio due ipotesi veloci, senza motivarle. Forse, se certi ragazzi preferiscono la storia è perché la letteratura non racconta niente di significativo: questi alunni sono cioè dotati di strutture narrative, ma non le riconoscono nelle pagine dei loro libri, più o meno scolastici, con i quali si trovano - più o meno volentieri - a convivere. Oppure, ed è la seconda ipotesi, questi giovani sono privi di strutture narrative, ovvero di organizzazione complessa di dati, e nella "storia" riconoscono quei markers, quelle persone e quei fatti che emergono in un sistema altrimenti sostanzialmente piatto.
Io non do affatto per scontato che si debba preferire l'Italiano alla Storia. Credo che l'una e l'altra siano due discipline della conoscenza, due modi (affini, ma non identici) di organizzare il proprio approccio al mondo. Quel che mi stupisce è che in Italiano ragazzi del genere non farebbero un decimo della fatica che fanno in Storia, oppure credono di aver raggiunto un risultato meritevole quando ti raccontano malvolentieri la vita di Svevo, perché quelle sono le "cose da sapere". Dati obiettivi, reali, incontrovertibili. Dimostrano di sapere mandando a memoria tante "cose": fatti, date, nomi.
Per i veri appassionati, tutto ciò forse con il tempo diventerà un racconto del mondo (migliore di tanti altri e di sicuro di quelli "letterari puri"). Per gli altri, magari, la storia è un magazzino merci, un serbatoio da riempire e da svuotare di dati. Ecco un altro problema, ben più serio di altri, della conoscenza intesa come sommatoria lineare di cose, piuttosto che come crescita personale del ragazzo attraverso uno sguardo complessivo alla vita.