Alla fine degli anni ‘70, un numero sorprendentemente grande di adolescenti fece una scelta a prima vista incomprensibile: dopo l’esplosione punk, in piena new wave, alle soglie dell’edonismo new romantic e di tutto il movimentismo pop anni ’8o, questi ragazzi decisero di muoversi controcorrente e concentrare le proprie passioni su quanto veniva ritenuto, in quel momento, più fuorimoda e obsoleto. Cioè il Rock Progressivo e tutto l’annesso paraphernalia di fiabe crudeli, musicisti in costumi medievali, concerti faraonici a base di eclatanti trucchi scenici, copertine fantasy pluriapribili, supergruppi, super rarità discografiche, chitarre a doppio manico, batteristi con doppia batteria, tripli album e cofanetti quadrupli. Fu una vera «controrivoluzione», innescata dalla nostalgia per qualcosa di grandioso e ormai passato che questi ragazzi, non avevano avuto il tempo di vivere... o piuttosto la scelta un po’ codarda dei soliti adolescenti “timidi e introversi” che non avevano il coraggio di uscire dal cocoon familiare e affrontare cambiamenti, movimenti e scossoni epocali? Qualunque sia il responso, è arrivato il momento di portare finalmente allo scoperto le passioni, le manie e perché no le gesta (tra il folle e il ridicolo) di questo vasto movimento sotterraneo, di questo circuito di “ragazzi qualunque”, fedelissimi ai propri idoli musicali ma cosi imbarazzati nel confessare ai propri coetanei che loro, agli Style Council piuttosto che agli Smiths, preferivano qualcosa di piu’… come dire... impegnato. Che preferivano i Genesis, magari, se non i Jethro Tull. O, nei casi più disperati, i Gentle Giant e perfino i Van Der Graaf Generator!
Formeranno, questi futuri maniaci del rock progressivo, un gruppo di ragazzi omogeneo ma assai anonimo. Autenticamente sotterraneo. Per anni non si faranno sentire e ascolteranno musica nelle loro camere, disertando quei veri e propri riti collettivi di passaggio dai ‘70 agli ’8o che sono concerti epocali come quello di Patti Smith a Correggio piuttosto che dei Police a Milano. Non si vestiranno da new wavers ma neanche, tantomeno, da fricchettoni seventies. Si attaccheranno al proprio buon rendimento scolastico, alla solidità della propria famiglia, alla certezza del proprio intramontabile abbigliamento (a base di camicie classiche e golfini) e, soprattutto, al ripetuto, ossessivo ascolto del loro ultimo, fantastico acquisto di qualche vecchia band progressiva… ...Forse perché non ne avrebbero voluto sapere del resto della loro generazione, consapevoli che vivere, come gli altri, la propria vita come un “assoluto avventuroso” avrebbe portato a un cupo orizzonte di disastri e morti premature. Oppure, più semplicemente, perché troppo abitudinari o schivi per buttarsi nella mischia, fosse quella del movimentismo di cui si è appena scritto o quella della nascente massa godereccia dei “discotecari”. Fatto sta che si infatueranno proprio del genere musicale più astratto e avulso dalla realtà che quarant’anni di storia del rock hanno saputo produrre! Appassionandosi in particolare a quegli aspetti del rock progressivo che prescindono dal background comunque giovanilistico—ribellistico, cui era imparentata, bene o male, la musica degli anni ’7o. Dunque poco interesse per il mito legato alla cultura della droga o alla vita sulla strada e tanto invece per certe polverose abitudini cosi inglesi, tanto che il tè durante le prove del pomeriggio diventerà un vero rito, per i gruppi new progressive a venire. Passeranno anni solitari, spesso compiacendosi nel sentirsi dei Don Chisciotte della musica rock e altrettanto spesso ignorando l'esistenza delle tantissime anime, italiane ed europee, progressive come la loro. Vivranno però la loro passione con caparbietà e serietà tali da costruire quella rete di rapporti prima solo interpersonale e poi pubblica (nella forma di fanzines, club, raduni e concerti) che avrebbe portato alle nuova ondata progressiva degli anni '80 e finalmente alla rinascita del genere. Con nuove band, nuovi dischi e nuovi stili.