Dove povertà e ricchezza sono le facce della stessa medaglia?
Il lavoro di Raghu Rai, massimo esponente della fotografia indiana, sembra dare una risposta esaustiva a queste domande. E’ nato nel 1942 a Jhanj, vicino a Lahore, nel Punjab un territorio che, all’epoca, era pakistano. Anche la sua è una famiglia numerosa, composta da quattro fratelli e sei sorelle. Il padre ingegnere, desidera che anche Rai segua la sua professione. E’ invece il fratello maggiore, già fotografo, ad influenzare le sue decisioni: nel 1965 invia alcuni dei suoi scatti al londinese The Times e da allora non ha mai smesso di fotografare per le maggiori testate indiane ed internazionali.
Ma è la sua filosofia di vita, che sfiora la modestia, a renderlo un vero personaggio. Nega che ci siano stati dei momenti decisivi nella sua vita: “Ogni anno, ogni momento, ha il suo significato”, sostiene. “ Sto ancora imparando, ancora cercando di esplorare la magnifica bellezza dell’India attraverso la mia macchina fotografica”. Alle definizioni che gli attribuiscono il ruolo di fotografo, psicoanalista, viaggiatore, essere solitario nel mondo, risponde sorridendo che ogni uomo possiede quelle qualità, che l’individuo è una combinazione fortunata di molte personalità. Al rientro da un reportage, lavora senza sosta per selezionare, dividere, raggruppare i suoi scatti che diventano il progetto che vuole pubblicare e diffondere.
Questo grazie alla sua profonda ed intensa passione per la fotografia: “Non solo il fotografo deve essere al posto giusto nel momento giusto, ma soprattutto deve saper comunicare il proprio stato d’animo. Dopo tutto, la vita stessa è un momento di verità. Da quando sono diventato professionista, quarant’anni fa, la mia ricerca non è cambiata”. Raghu Rai utilizza la macchina fotografica come uno strumento di apprendimento continuo, un modo per arrivare più vicino alla realtà e alla natura e permettere a chi guarda le sue foto di arricchire la propria visone del mondo: questo è per lui il vero scopo della fotografia.