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Ragnarok. La fine degli dei

Creato il 17 gennaio 2014 da Vocedelsilenzio
Che cos'è un mito?Oggi, quasi spontaneamente, ci verrebbe da dire che un mito è una storia. Una bella storia. Oppure un racconto, una fiaba. Sì, una fiaba. I miti assomigliano molto a delle fiabe, almeno da come la vedo io. Hanno quello stesso grado di fantasia e crudeltà.Ma un mito, se ci pensiamo bene, è un qualcosa di sacro. Qualcuno, magari molto tempo fa, a queste 'fiabe' ci credeva davvero, e i protagonisti di questi racconti venivano adorati. Ma adorati davvero, con tanto di preghiere, suppliche e cerimonie.Trovo che questa cosa sia estremamente interessante. E che ci si soffermi poco sopra.Per quanto poco si sia credenti, oggi non credo si riuscirebbe ad affermare con serietà che Gesù è semplicemente il personaggio di una fiaba. O che lo sia Maometto. Quindi possiamo già intuire quanto la mentalità nell'approcciarsi al divino sia cambiata col tempo. Ma, sempre secondo me, un mito ci dice molto anche del popolo da cui è stato creato. Si capiscono infatti che molti tratti del pensiero sono comuni a tutte le etnie. Ma si intuisce anche che le sfumature caratteriali di interi popoli differiscono profondamente. Per esempio, i miti nordici mi paiono meno goderecci di quelli romani. I miti norreni paiono quasi più 'freddi' e più 'coscienti', se così posso dire, di quelli egizi.E sarà forse un caso che, in tempo di guerra, la protagonista bambina di questo libro riceva in dono proprio un libro sui miti nordici?
Ragnarok. La fine degli dei
Lei «era una bambina magra, delicata, tutt'ossa, come un tritone, con capelli che sembravano fili di fumo illuminati dal sole». E c'era la guerra. L'aviazione tedesca bombardava Londra e i centri industriali. Gli abitanti delle città si rifugiavano in campagna. Come la bambina e sua madre, che per un paradosso del destino in campagna, pur essendo sposata, «può avere una vita della mente». Il padre è via, nei cieli dell'Africa, forse. Sua madre, a cui piacciono le parole, le regala un libro, Asgard e gli dèi, la storia del Ragnarök, la fine senza resurrezione degli dèi norreni. Il libro diventa una compagnia essenziale, la bambina lo legge ogni sera in un tenue spiraglio di luce, ammira il coraggio di Odino, si compiace degli inganni di Loki, si gode le sue avventure subacquee in compagnia della portentosa serpentessa sua figlia. Di giorno riflette su quelle storie, a cui non crede, ma che tuttavia «le si attorcigliavano nel cervello come fumo, ronzando come api scure dentro un alveare». L'aiutano a tenere a bada un'inconscia disperazione. Ha paura, paura che il padre non torni, paura di veder sparire il mondo che conosce. Legge anche i miti greci e le fiabe dei Grimm e di Andersen, ma perfezione e fantasia non le offrono appigli per fronteggiare un senso di disastro imminente. Gli dèi norreni invece vanno incontro al disastro, e in questo le appaiono terribilmente umani, cosí limitati e stupidi. Sanno che verrà il Ragnarök, ma non sono capaci di creare un mondo migliore. Cavalcano nei cieli con un fragore di zoccoli che si confonde con il ronzio degli aerei durante i raid. È un paesaggio di lupi, caverne e acque turbolente, di spettri e bellicosi inganni. In stridente contrasto con l'idillico paesaggio della campagna inglese. Non c'è salvezza nel mito norreno, ma proprio questo aiuta la bambina magra a sopravvivere, anzi, a vivere un'infanzia di pensieri intensi e di precocissime memorie, che sedimentano giorno per giorno traducendosi in un archivio interiore al quale attingerà nel corso della vita. I pensieri e le visioni di cui A. S. Byatt da sempre dissemina i suoi romanzi trovano qui la loro unità, strutturandosi nella narrazione fluida e immaginifica di anni di caos. C'era la guerra - ma da allora ce n'è sempre stata una - e quel caos primordiale appare piú terapeutico di ogni credenza consolatoria. 
Ragnarok è un libro particolare.
Risulta piuttosto chiaro che la vicenda abbia dei toni autobiografici, ma allo stesso tempo non si tratta di un vero e proprio racconto autobriografico, proprio a causa di come è costruito.Io, questo libro, lo vedo più, in primis, come una sorta di omaggio a un qualcosa che per l'autrice ha significato molto: le storie che da bambina l'hanno fatta appassionare alla scrittura e alla lettura, e che allo stesso tempo le hanno tenuto compagnia durante un momento particolarmente difficile.E poi si tratta di una grande riflessione sulla guerra, senza che la guerra venga mai toccata davvero.
Byatt ricrea con la sua stupenda narrazione una buona fetta di miti norreni, una ricostruzione che occupa la maggior parte del volume e che mostra dei personaggi anche crudeli, ma che sanno quello che stanno facendo, o quello che ne conseguirà. E in parte, la loro crudeltà, e la loro stupidità pure, corre in parallelo con quella umana della guerra, però... Però Loki sa cosa causeranno le sue gesta. Quando Fenrir viene sfidato e incatenato, gli altri sanno che prima o poi riuscirà a scappare causando la distruzione del mondo.Ma gli uomini, con questa guerra in corso, sanno davvero quello che accadrà? Perché la bambina non sa se suo padre ritornerà mai dalla sua vita di soldato.
Una storia, quindi, che tratta dello splendore delle storie, del coraggio e della forza che queste sanno dare, dei pensieri che fanno scatenare. Ma che tratta anche del buio dell'animo umano, dell'oscurità di certi eventi.
Ragnarok è stata per me una conferma.E' il secondo libro che leggo di quest'autrice, e l'impressione che mi ha lasciato è sempre di grande stupore e meraviglia. In fondo, quello che fa non è altro che riraccontare delle storie, senza nemmeno aggiungere particolari diversi, eppure...Eppure.La Byatt ha una scrittura che è scientifica. E' come un bisturi: precisissima, tagliente, in grado di andare in profondità.C'è una cura meticolosa nella scelta delle parole.Tra queste pagine ci sono alcuni elenchi che tolgono il fiato, o almeno il mio, per la bellezza delle parole che vi si trovano dentro.Avevo comparato il lavoro fatto con Il libro dei bambini a quello di un orafo. Era perfettamente in tema con quella storia. Ma qui mi tocca riutilizzare il paragone, perché la Byatt è davvero un'orafa, di quelle che fanno oggettini minuscoli ma preziosissimi.
Ecco. Anche questo libro è così. Piccolo e prezioso.

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