I POTERI DELL'AD - La nomina dei dirigenti apicali, sentito il cda; la firma di atti e contratti (fino a 10 milioni); la gestione del personale dell'azienda; la proposta al consiglio degli atti e contratti di valore strategico, come i piani di trasmissione e produzione; l'attuazione del piano di investimenti, del piano finanziario, del preventivo di spesa annuale, delle politiche del personale e dei piani di ristrutturazione. Nominato dal cda su proposta dell'assemblea dei soci, l'ad - si legge - non è dipendente Rai, resta in carica per tre anni, "salva la revoca delle deleghe in ogni momento" da parte dello stesso consiglio, "sentita l'assemblea". Una disposizione che di fatto conferma - pur disciplinandola in modo più dettagliato - la normativa attuale, che consente al cda di sfiduciare il direttore generale. In caso di revoca, spiega ancora il disegno di legge, l'ad dovrà accontentarsi di un'indennità pari a 3/12 del suo compenso annuo.
IL CDA - Anche i componenti del cda - sette al posto degli attuali nove - possono essere 'revocati' dall'assemblea: un 'licenziamento' che diventa efficace dopo la "valutazione favorevole" della Vigilanza. Anche oggi il Testo unico della radiotelevisione (che ha 'assorbito' la legge Gasparri) prevede che la Vigilanza possa formulare una delibera con cui chiede all'assemblea dei soci di revocare la nomina di un consigliere; nelle assemblee convocate per la revoca o l'azione di responsabilità, il rappresentante del Tesoro vota in linea con le indicazioni della commissione. Il presidente viene eletto dal cda all'interno dei suoi membri (4 eletti da Camera e Senato, 2 nominati dal governo e uno designato dall'assemblea dei dipendenti). Il consiglio, oltre ai compiti attribuitigli da legge e statuto, approva il piano industriale e quello editoriale, il preventivo di spesa annuale e gli investimenti superiori a 10 milioni di euro. Ad e cda - si legge ancora nel testo - "sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previsti dalla disciplina ordinaria delle società di capitali".
LA RIFORMA DEL CANONE - Il ddl delega al governo il compito di adottare, entro un anno dall'approvazione della riforma, "uno o più decreti legislativi" che tengano conto, tra l'altro, di alcune esigenze come l'"efficientamento" del finanziamento della Rai in considerazione "del livello di morosità", "dell'incremento delle disdette", "dell'analisi costi-benefici nel perseguimento di politiche finalizzate a perequazione sociale ed effettività delle riscossione".
IL CONTRATTO DI SERVIZIO - Il documento che definisce gli obblighi di servizio pubblico durerà cinque anni e non più tre. Le linee guida sugli "ulteriori obblighi" legati allo sviluppo dei mercati e al progresso tecnologico oggi vengono fissate dall'Autorità per le comunicazioni d'intesa con il ministro delle Comunicazioni: il ddl prevede che gli indirizzi per il raggiungimento dell'intesa con l'Autorità vengano decisi dal Consiglio dei ministri.
STOP CONCESSIONE SE SI PRIVATIZZA OLTRE 10% CAPITALE - Se il ministero dell'Economia, che detiene il 99.56% della Rai, dovesse vendere una quota di capitale superiore al 10%, verrebbe automaticamente meno la concessione del servizio pubblico.
Il provvedimento inizierà il suo iter dalla commissione Lavori pubblici del Senato: "Ci sono tutti i presupposti per fare presto come auspicato da Renzi", dice la segretaria della commissione, Laura Cantini. "Il Pd chiederà di fare gli straordinari per approvare la riforma in tempi utili per il nuovo Cda".