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Rai Way e la libertà di mercato

Creato il 09 marzo 2015 da Ilbocconianoliberale @ilbocclib

Poco più di dieci giorni fa, Ei Towers, società controllata da Mediaset per il 40%, ha lanciato un’offerta pubblica di acquisto e scambio su Rai Way, proprietaria di impianti e infrastrutture per la trasmissione e diffusione del segnale radiotelevisivo della Rai. Entrambe operano nello stesso settore e ciò ha naturalmente generato speculazioni circa il possibile monopolio che verrebbe a crearsi nel mercato delle telecomunicazioni; specie se l’acquirente in questione è l’ex premier e attuale leader all’opposizione.

Com’è che ci si è riscoperti paladini della concorrenza nel paese in cui “il libero mercato, che Dio ce ne scampi”?

Se l’operazione fosse avvenuta in senso opposto, ovvero se fosse stata Rai Way a presentare un’offerta per l’acquisizione di una quota di Ei Towers, dubito che il Fatto Talebano e i vari intellettuali de sinistra si sarebbero schierati così strenuamente in difesa della libertà di informazione e del libero mercato. Insomma, ci si preoccupa se la rete di diffusione è integralmente nelle mani di un privato, ma non ci si pone lo stesso problema nel caso speculare. Certo, perché se l’intera infrastruttura fosse nel mani della Rai, l’indipendenza del giornalismo e il pluralismo nell’ informazione sarebbero garantiti, ed è così in malafede chi dovesse pensare il contrario…! Due pesi e due misure, ma in ogni caso sempre dalla parte dello Stato e contro il privato e la libera iniziativa.

D’altra parte ci si dovrebbe domandare se il risultato dell’opas da parte di Ei Towers possa davvero configurarsi come un vero e proprio monopolio e se sia giusto impedire l’operazione in nome della concorrenza e della democrazia.

A tal proposito, chiamiamo in aiuto la teoria austriaca. Quest’ultima dissente da quella neoclassica almeno nella misura in cui si sostiene che sia la struttura del mercato (un luogo dove agiscono un vasto numero di imprese omogenee) a determinare il grado di competizione. No, secondo la scuola austriaca ciò che conta è il comportamento di rivalità. Competere significa sforzarsi di offrire un prodotto migliore rispetto a quello di un’impresa rivale. Poco conta se queste siano due o cento, l’importante è che continuino a contrapporsi l’una all’altra. Certo, l’obiezione potrebbe essere che quando si è in pochi è più facile mettersi d’accordo per spartirsi il mercato. Ma finché è consentito il libero accesso a un determinato settore, ci sarà sempre qualcuno pronto a entrare nel mercato e guastare gli accordi presi, offrendo quanto meno lo stesso prodotto a migliori condizioni, ai fini di acquisire l’intera quota di profitti. La differenza tra le due teorie appare pigmea. In realtà è abissale, se si pensa alle ricadute sulle politiche antitrust. Se seguiamo il ragionamento neoclassico, l’autorità preposta si dovrebbe impegnare per impedire la concentrazione del mercato nelle mani di pochi operatori, mentre nell’altro caso l’attività di un’eventuale authority dovrebbe essere finalizzata alla rimozione di ostacoli che impediscano l’ingresso di nuove imprese.

Nella fattispecie, non si ravvisa nulla di tutto ciò: non c’è una legge statale che impedisca l’ingresso di nuovi players nel mercato delle infrastrutture radiotelevisive. Certo, si potrebbe affermare che il doppio ruolo di venditore e competitore nel mercato televisivo consenta al soggetto integrato di favorire nel mercato a valle le proprie società televisive a danno dei concorrenti. Ma non si vede come ciò sia possibile, dal momento che al’interno dello stesso settore delle infrastrutture ci sono altri competitors e nuovi potenziali entranti cui rivolgersi. Sarebbe quindi illogico per Ei Towers rinunciare a milioni di proventi che otterrebbe dalla Rai e di cui beneficerebbe anche Mediaset, visto che controlla il 40% della società acquirente. Per non parlare del fatto che Rai Way non potrà mai essere del tutto controllata da Ei Towers, dato che il 51% rimarrà comunque nelle mani dello Stato.

C’è quindi chi ha paventato un pericolo per l’informazione libera, nonché una minaccia per il pluralismo e la democrazia. Come se in Italia ci fossero solo Rai e Mediaset e non anche La7 o Sky e centinaia di altre televisioni locali.  O come se in Italia l’unico mezzo di informazione fosse la televisione e non ci fossero la carta stampata, la radio o Internet. Basta ricordare che nel 2013 Grillo ha ottenuto il 25% dei consensi senza mai comparire in un dibattito televisivo e ogni volta che si parlava di lui in televisione o sui quotidiani era in riferimento a dichiarazioni diffuse tramite il suo blog.

Infine sarebbe interessante porre in discussione il rapporto di causalità che si pensa esserci attualmente tra media e consenso popolare. Spesso si è pensato che Berlusconi abbia goduto di elevato consenso soprattutto grazie alle sue televisioni. Ma si è sicuri che tale rapporto di causalità sia corretto? Ove il potere politico controlli tutti i mezzi di comunicazione, questo tipo di legame è senz’altro vero. Ma in una realtà come quella democratica, dominata da una pluralità di mezzi di comunicazione, ciascuno dei quali ha all’interno diversi canali, non è possibile che il rapporto sia invertito? Non è possibile che si guardi un certo canale in virtù delle proprie opinioni politiche? D’altronde come consumatori si dispone di una libertà di scelta maggiore rispetto a un cittadino di uno Stato totalitario e si può scegliere liberamente da chi informarsi. In soldoni, ora come ora è più probabile che qualcuno guardi il TG4 perché berlusconiano, piuttosto che il contrario. Tutto ciò grazie alla libertà di scelta, grazie a privati che investono in televisioni, radio e giornali, con l’obiettivo di intercettare un certo target e conseguire profitti, così come avviene in tanti altri mercati.

E poi, diciamocelo, li avete visti i palinsesti?

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Francesco Billari


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