Lui è l’inimitabile Dustin Hoffman, che nella lunga carriera ha tratteggiato con disinvoltura personaggi di forte drammaticità e complessità con i quali ha attraversato più di trent’anni di cinema americano: dal Piccolo grande uomo (1970) di Arthur Penn al marito ribelle di Cane di paglia (1971, di Sam Peckinpah), dal padre in lotta per la custodia del figlio di Kramer contro Kramer (1979).
Fino allo struggente Raymond, l’autistico di Rain Man. Di lui la critica ha scritto: “Con la sua interpretazione Hoffman evidenzia validamente le impuntature, la meccanicità dei gesti e degli scarti, l’incerto procedere nel camminare, comportamenti tutti caratteristici di un autistico.”
Un doloroso passato rimosso, che viene costretto ad affrontare se vuole mettere le mani sui soldi che spettano al fratello rinchiuso in un istituto di rieducazione per handicappati.
Vagamente Charlie ricorda che quando era bambino viveva nella casa paterna uno strano personaggio – l’uomo della pioggia, onirica figura che aiuta a crescere, un uomo buffo che gli recitava le filastrocche. “E che fine ha fatto”? – “Niente sono cresciuto”.
Fortemente adirato per la mancata eredità, Charlie porta via Raymond dalla clinica con la speranza di diventarne legalmente il tutore e beneficiare indirettamente dell’ingente patrimonio. Durante il lungo viaggio intrapreso, poco a poco Charlie si affeziona a Raymond, un individuo tutto gesti meccanici e frasi ripetitive, privo di reazioni sul piano emotivo.
Scoprirà che l’uomo della pioggia è proprio Raymond ( Rain man una storpiatura infantile del nome Raymond) che pensava fosse frutto della sua fantasia, ma in realtà altri non era che suo fratello, del quale è stato privato per tutti questi anni e che è stato allontanato da casa per paura che arrecasse danno al piccolo Charlie. – “Tu sei l’uomo della pioggia! – “ Mai fatto male a Charlie baby, mai fatto male”!
Perso ogni r
Un film che fa parte della nostra storia e che non fa vedere i segni del tempo. Una trama portata avanti da tutti con serietà e professionalità e che ha il merito di raccontare l’autismo secondo le regole di Hollywood. Forse troppo curato esteticamente e meno sul piano dell’approfondimento psicologico della malattia. Tocca le corde giuste, senza eccessi emoziona e coinvolge grazie alla performance di Hoffmann. Una colonna sonora strepitosa in grado di sottolineare al meglio i passaggi commoventi della narrazione.