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Visto al cinema. Un camaleonte che vorrebbe essere un attore, ma alla fin fine ha solo un’identità confusa e poca personalità, finisce, suo malgrado, in un paesino del west con gravi problemi idrici. Li potrà reinventarsi un’identità superomistica, diventerà sceriffo grazie ad una serie di fatalità e dovrà affrontare il problema dell’acqua.
Film d’animazione western/comico, molto, molto divertente. Dal punto di vista dell’ambientazione è evidente che Verbinski guarda a Sergio Leone e al suo modo di creare il west a partire dai volti, tutti i personaggi sono perfette creazioni leoniane impersonate da animale, con polvere, povertà, cicatrici e denti storti nella migliore tradizione del regista italiano; questo prima ancora delle ormai consolidate inquadrature scopiazzate da Kurosawa. Poi ci mette un pizzico di quella versione moderna, del deserto come luogo dell’anima, di spazio metafisico utile per trovare se stessi… e le due versioni, a mio avviso, riescono ad essere legate in maniera sufficientemente credibile.
Se la storia alla fin fine non è molto originale, c’è da dire che l’eterno discorso sul rapporto tra realtà e finzione, sull’accettazione della propria maschera e sulla creazione del mito è un tema eterno; e mai come in questo film era stato urlato a squarciagola (addirittura commentando i momenti cinematografici chiamandoli per nome) ottenendo però un risultato decisamente positivo. Fondamentale per la credibilità di una storia tanto sfacciata il fatto che non si prenda sul serio e che la componente comica risulta essere predominante
Dall’altra parte abbiamo una regia perfetta; è evidente che Verbinski è uno abituato a girare film tout court e non si è limitato a realizzare un cartone animato. Tutto è soppesato, le citazioni tutti i western classici (più altre strizzatine d’occhio, anche a “I pirati dei caraibi” stessi nella scena del sogno) sono fini ed i camei evidenti, ma non sottolineati con pesantezza (stupendo Raoul Duke con il dr. Gonzo; e palese Clint Eastwood); le inquadrature ragionate per rimandare sempre ad un modello classico, ma fatte veramente da dio; anche se il meglio lo da quando non crea scene apertamente citazionistiche (stupenda la scena della caduta di Rango fuori dalla macchina, o il momento del sogno).
Infine c’è da sottolineare come l’animazione CGI sia ormai divenuta d’uso comune se un regista può creare un film tecnicamente perfetto (i personaggi sembrano veri; mentre le “location” hanno tutte le caratteristiche del materiale con cui sono “fatte”, ad esempio nella vaschetta dove sta Rango all’inizio del film è palese che si tratti di un mondo di plastica) pur rimanendo fuori dai circuiti dei grandi come la Pixar.
Un film davvero magnifico sotto quasi tutti i punti di vista. Volendo proprio contestare qualcosa si può dire che con un minimo in più di originalità nella storia avrebbe potuto essere un capolavoro.
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