La trama (con parole mie): Johnny Clay, da poco uscito di galera dopo cinque anni di detenzione, orchestra una rapina ad un ippodromo organizzata sfruttando l'aiuto di insospettabili dalla fedina penale pulita, mossi ognuno da esigenze economiche o personali. Si tratta di uno dei cassieri - un ometto vessato dalla giovane moglie - e del barman - che vorrebbe usare i soldi per la compagna malata - dello stesso ippodromo, di un allibratore vecchio amico di Clay e di un poliziotto corrotto con qualche debito di troppo.I passaggi del colpo sono studiati minuziosamente, e tutto pare filare liscio fino al giorno della rapina: quando, però, i problemi coniugali del cassiere George mettono in moto un piano parallelo della consorte aiutata dall'amante, la situazione precipita fino a far letteralmente volatilizzare il bottino della rapina.
Basterebbero due soli nomi a rendere Rapina a mano armata un supercult di quelli da rimanere a bocca aperta: Stanley Kubrick e Jim Thompson, uniti nel firmare una sceneggiatura che ancora oggi è un esempio clamoroso di ritmo, tensione, efficacia e violenza.Eppure, il regista ed il romanziere autore di titoli indimenticabili quali L’assassino che è in me e Colpo di spugna sono soltanto la punta dell’iceberg per la pellicola che, di fatto, confermò Kubrick come uno dei giovani registi più importanti della scena statunitense degli anni cinquanta, in grado di stupire nonostante – ma questo non si poteva ancora sapere – un talento che ancora non aveva esploso i suoi colpi di genio più sorprendenti.Rapina a mano armata è, di fatto, uno dei capistipite dell’heist movie, una prova eccezionale di decostruzione temporale e costruzione di tensione – l’escalation che porta al colpo ha un accumulo di suspance quasi hitchcockiano – impreziosita dalle interpretazioni di Sterling Hayden – un grandissimo che gli appassionati di Classici conosceranno come se fosse praticamente un loro parente, mentre i meno ferrati si ricorderanno, forse, per il suo ruolo nel primo capitolo della trilogia de Il padrino – e di un gruppo di caratteristi da antologia, fotografato splendidamente – sempre dallo stesso Kubrick, come fu per Il bacio dell’assassino – e girato con un’eleganza clamorosamente superiore all’esordio – basterebbe la sequenza dell’ingresso di Clay nella stazione dei bus per restare ammirati rispetto all’abilità dietro la macchina da presa mostrata dal regista, che non solo pare con questo lavoro aver scoperto l’eleganza del suo movimento, ma avere definitivamente abbandonato, conservandone il meglio, il suo precedente tocco da fotografo, che avrebbe potuto rendere lo stile troppo statico -.Come se non bastasse tutto questo, l’opera numero due del Maestro porta un bagaglio di violenza decisamente inusitato per l’epoca – con le dovute proporzioni rispetto a quanto mostrato allo spettatore, non sfigurerebbe neppure accanto a pellicole come Le iene ancora oggi – e solo limitatamente stemperato da un finale a metà tra il moralismo – “il crimine non paga” – ed il fatalismo – “se il destino è avverso, anche i piani migliori sono destinati al fallimento” -, e con la sua struttura ad incastro anticipa di decenni quello che proprio Tarantino ed i suoi epigoni avrebbero trasformato nel loro cavallo di battaglia alle soglie del nuovo millennio.Inoltre, la riflessione sull’avidità umana che assume dimensioni differenti ed è mossa da altrettanto diverse motivazioni risulta profonda ed incisiva, e regala uno spessore enorme ad ognuno dei protagonisti: dal vecchio allibratore che pur di combattere la solitudine si lega al “figlio che non ha mai avuto” Johnny Clay al cassiere soggiogato da una moglie che ogni giorno rinfaccia di non avere il denaro che si sarebbe aspettata da lui, dal poliziotto corrotto con qualche debito di troppo contratto a causa del suo amore per la bella vita al barista dell’ippodromo che vorrebbe utilizzare la sua parte di bottino per curare al meglio la compagna malata, fino a Clay stesso, mente dietro un piano sulla carta infallibile e poggiato sulle spalle di un gruppo di insospettabili, in attesa di completare il suo trionfo con la fuga accanto alla donna pronta ad attenderlo dopo i cinque anni trascorsi in galera, non c’è uno solo dei protagonisti – neppure il tiratore ed il lottatore assunti per scatenare il caos e favorire la rapina – che risulti privo dello spessore necessario a renderlo memorabile, e nonostante alcune sequenze paiano oggi tutto sommato naif – il confronto con il parcheggiatore del cecchino ingaggiato da Johnny, la rissa al bar, la partenza all’aeroporto nel finale – tutto funziona ancora a meraviglia, ed oltre ad un altissimo tasso di tensione il pubblico finisce per poter contare anche su passaggi decisamente forti – la rapina del “clown” ed il confronto tra il gruppo di complici del protagonista e l’amante della moglie di George il cassiere, destinato a finire nel sangue – ancora efficaci oggi, in un’epoca in cui si è abituati decisamente a molto peggio.Se, dunque, Il bacio dell’assassino era stato in grado di mostrare alcuni lampi del talento incommensurabile del Maestro, con Rapina a mano armata si conquista la certezza di trovarsi davanti ad un cavallo di razza – e mai come per questo film una definizione di questo tipo risulta calzante – destinato a cambiare letteralmente la Storia della settima arte.Di certo ogni studente di Cinema o appassionato dell’opera dell’immenso Stanley conoscerà questa perla a memoria, ma sarebbe davvero un delitto, pur da spettatori occasionali, lasciarsi sfuggire quella che, di fatto, è una delle pietre miliari di un genere che, in tempi più recenti, è stato in grado di regalare meraviglie come Inside man o influenzare autori come il già citato Tarantino.
MrFord
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money so they say
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