Nell’ambito dei lavori di Wan-Ifra Italia 2015, la conferenza internazionale dell’industria editoriale e della stampa italiana promossa da Wan-Ifra [Associazione mondiale degli editori] e Asig [Associazione Stampatori Italiana Giornali] della scorsa settimana, è stato presentato il Rapporto 2015 sull’Industria dei Quotidiani in Italia.
La desk research a cadenza annuale, giunta alla 16esima edizione, riassume i dati relativi a: andamento e prospettive del mercato dei quotidiani, andamento del mercato pubblicitario, andamento, tendenze e prospettive occupazionali, andamento retributivo e costo del lavoro poligrafico, trend tecnologici e di mercato in atto.
Per comprendere, o meglio per avere conferma dell’aria che tira, bastano le conclusioni del consiglio direttivo dell’Asig nell’introduzione al rapporto 2015: “Nell’edizione 2011 di questo Rapporto pubblicammo una “mappa dell’estinzione dei quotidiani”, realizzata da un centro di consulenza australiano, che indicava nazione per nazione la data di scomparsa dei giornali quotidiani: per l’Italia, l’anno x era stato fissato nel 2027. Allora ci sembrava la solita esagerazione del fanatico futurologo di turno, da archiviare con un sorriso e magari con qualche rituale scaramantico. Ma oggi, in tutta onestà, possiamo dirci assolutamente certi che tra dieci anni in Italia i quotidiani esisteranno ancora?”
Dati, già pubblicati all’interno di DataMediaHub [qui, qui, qui] che lasciano purtroppo poco spazio all’ottimismo. La crisi economica generale del nostro Paese si è tradotta in una significativa contrazione della diffusione e dei fatturati pubblicitari, alla quale ha fatto riscontro una notevole riduzione delle testate e degli stabilimenti di produzione. In forte calo l’occupazione, ristagnano i livelli retributivi degli addetti del settore, in grande sofferenza il fondo integrativo di settore, dove per ogni lavoratore attivo ci sono quasi quattro pensionati.
All’interno del rapporto vi sono due aspetti che più di altri attirano l’attenzione.
Il primo riguarda l’elevato livello di inefficienza del sistema distributivo, della filiera tradizionale del cartaceo, che produce un’incidenza dei resi del 31% rispetto al 14% di incidenza in Francia. La conferma, se necessario, di quello che scrivevamo pochi giorni fa nelle conclusioni sull’analisi relativa ai principali cinque gruppi editoriali quotati in borsa.
Infatti, come ricorda Gianni Paolucci, presidente dell’Asig, la versione cartacea dei quotidiani rappresenta ancora oggi il grosso dei ricavi, come dimostrano, anche, le nostre analisi, ma non si è data la giusta attenzione a quella che è la cash cow della stampa. L’informatizzazione delle edicole langue in una legge disattesa da ormai tre anni alla quale era legata sia l’area di finanziamento pubblico ai giornali che i benefici di razionalizzazione dei resi e di gestione delle informazioni. Un aspetto che potrebbe, secondo le mie stime, generare un recupero contributivo tra il 10 ed il 15%, riportando fuori dal rosso il comparto e dando ossigeno, cassa, per affrontare con maggior serenità l’area digitale. Tema al quale ho dedicato un libro due anni fa e che, visto l’immobilismo, credo sia ancora di cocente attualità.
Il grafico sottostante mostra il dettaglio del periodo 2011–2014 per quanto riguarda andamento copie vendute, abbonamenti, copie gratuite, e resi, evidenziando come l’incidenza della resa sia ulteriormente peggiorata nel periodo preso in considerazione passando dal 28.9% del 2011 al 31% del 2014. Ulteriore conferma di quanto colpevole sia stato l’immobilismo, anche, su questo fronte negli ultimi anni rispetto alla roadmap teorizzata e mai messa in pratica.
L’altro aspetto è relativo alla crisi della raccolta pubblicitaria che complessivamente influisce in maniera maggiormente negativa rispetto al calo di vendita di copie documentato nel grafico sopra riportato.
Nel 2000, anno in cui il mercato pubblicitario italiano raggiunse i massimi valori, i ricavi pubblicitari rappresentavano il 58% dei ricavi complessivi dei quotidiani, divenuti il 38.5% nel 2014 portando di riflesso l’incidenza delle vendite sul totale dei ricavi al 61.5%. Insomma quasi due terzi dei ricavi deriva dalle vendite di copie ma la gestione è inconsistente ad essere magnanimi.
Inoltre, come mostra il grafico contenuto all’interno del rapporto, la crisi è certamente strutturale ma la riduzione della raccolta pubblicitaria per i quotidiani è in buona parte frutto del crollo dei listini. Infatti, fatto 100 il 2008 il calo a fine 2014 è del 29% a spazi mentre è di ben il 54%, quasi il doppio, a valore come evidenziavo di recente.
In Italia sostanzialmente non esistono listini pubblici dei prezzi delle inserzioni pubblicitarie e quando esistono sono poco più che simbolici con sconti che possono arrivare sino al 90% non solo in funzione del livello di investimento.
L’adv è morto, o comunque moribondo, e i modelli di business che si basano solo su quest’area hanno la stessa prospettiva. Chi pensa che la carta rappresenterà la haute couture, mentre i servizi digitali saranno il pret-a-porter, ragiona ancora secondo schemi obsoleti, senza futuro.