A 4 anni dalla morte di Gheddafi, il Paese è dilaniato dalla guerra civile. E, senza un accordo tra le fazioni, la gente minaccia di invadere l'Europa (Fonte: Inchiesta "l'Espresso")
A quasi quattro anni dalla fine della Rivoluzione che portò alla fine del regime dell'ex raìs Muammar Gheddafi (ucciso il 20 ottobre 2011), la Libia dondola sull'orlo del baratro, con una popolazione stremata dal lungo conflitto interno e dalla nuova minaccia rappresentata dalle frange islamiste seguaci dello Stato islamico. Gli scontri armati si sono trasferiti dalle periferie ai centri delle città. Bengasi, secondo centro per importanza del Paese, è ridotta ad un cumulo di macerie: le scuole restano chiuse e gli ospedali sprovvisti di medicinali. Sirte, strategica per la sua posizione cardine lungo le direttrici nord-sud ed est-ovest, è in mano agli uomini del califfo Abu Bakr Al Baghdadi. Misurata, un tempo roccaforte inespugnabile, da quattro mesi è teatro di frequenti attacchi esplosivi per mano dello Stato Islamico. Obari, città nel deserto a sud, è in preda ai pesanti battaglie tra gruppi etnici rivali. Ad Ovest della capitale, i frequenti scontri tra i molteplici gruppi armati bloccano la litoranea verso la Tunisia, unico via di fuga dal Paese via terra.
Per una risoluzione diplomatica del conflitto la Libia ha ancora pochi giorni di tempo, visto che sta scadendo il mandato del Parlamento insediato nella città orientale di Tobruk. Se non verrà formato un Governo di unità nazionale, le Nazioni Unite si ritroveranno senza alcun interlocutore riconosciuto sul territorio e il confronto sarà solo militare. Un'ipotesi non del tutto remota, al netto dei proclama ottimistici dell'inviato speciale dell'Onu Bernardino Leon. Tuttavia anche se il dialogo tra i due Parlamenti (Tobruk e Tripoli) portasse a un accordo, non sarebbero comunque scongiurati i rischi del proseguimento di un sanguinoso conflitto. I fondamentalisti tenterebbero sicuramente di boicottare l'intesa a suon di attentati.
LA MAPPA DEL CAOS - Sul terreno le alleanze si rompono e si ricompongono a geometrie variabili. E nel grande caos non si vedono leader capaci di far uscire il Paese dalla crisi. Ecco la mappa area per area.
La coalizione "Fajr Libya", Alba della Libia, guidata dalle forze armate della città di Misurata che un anno fa scacciarono dalla capitale i gruppi armati della città rivale Zintan costringendo il nascente Parlamento a rifugiarsi nella città orientale di Tobruk, non esiste più. Di fronte all'avanzata degli uomini dello Stato Islamico, i moderati di Fajr Libya nella regione occidentale hanno rotto i rapporti coi Fratelli Musulmani ai vertici del Congresso di Tripoli. Per Misurata la guerra ai terroristi arroccati a soli 250 chilometri dai propri confini è divenuta una priorità. Gli ottantamila uomini armati di cui dispone e che erano stati "prestati" ad altri territori, sono stati fatti rientrare in città per rafforzare la linea di difesa.
Anche Zintan, unica città alleata nella regione occidentale del generale Khalifa Haftar, l'uomo forte al servizio del governo di Tobruk riconosciuto dalla comunità internazionale, ha firmato lo scorso giugno un accordo con le forze ex Fajr Libya, nonostante le battaglie che avevano combattuto gli uni contro gli altri armati sul monte Nafusa e poi sul fronte di Wathiya. Haftar, ex generale dell'esercito gheddafiano, poi disertore rifugiatosi per venti anni negli Stati Uniti fino alla sua ricomparsa sulla scena libica in occasione della rivoluzione del 2011, oggi è leader del movimento "Karama", "Dignità" in arabo. È sostenuto, assieme al governo di Tobruk, dal presidente egiziano Al Sisi, nemico numero uno dei Fratelli Musulmani. Ma sta perdendo consensi anche a Bengasi, il capoluogo dell'est dove dovrebbe essere acclamato come un eroe per essere intervenuto in sua difesa. «Sono finito in una delle prigioni di Haftar, dove ho incontrato decine di attivisti torturati solo per aver espresso su Facebook dei commenti negativi sulla sua campagna contro i fondamentalisti», ha rivelato a "l'Espresso" un attivista dei diritti umani di Bengasi, che per questione di sicurezza preferisce mantenere l'anonimato. Poi ha aggiunto: «Haftar dice di voler combattere i terroristi islamici, ma il suo unico scopo è quello di conquistare il potere».
In questo quadro così frammentato, anche l'informazione diventa propaganda. E del resto è noto che la prima vittima della guerra è la verità. Vale anche per la notizia, smentita in poche ore, circa la morte di Salah Maskhout, presunto trafficante di migranti della città orientale di Zuwara, per mano di un commando di forze speciali italiane. In molti ci hanno visto un gioco politico: attribuire al presidente del Congresso di Tripoli Nouri Abu Sahmein le accuse contro gli italiani mirava probabilmente a minare i rapporti tra l'Italia, in prima fila per un eventuale intervento militare in Libia, e le autorità che controllano l'Ovest del Paese. O semplicemente puntava ad innescare una reazione degli estremisti in attesa della loro legittimazione per fare proselitismo contro gli infedeli possibili invasori.
CRIMINALITÀ E CORRUZIONE - Prezzo del pane triplicato, code alle stazioni di benzina, stipendi in arretrato anche di sette mesi, mentre il dinaro libico è in picchiata. Ecco la fotografia dell'andamento dell'economia. Gli investitori sono scappati, la disoccupazione è aumentata in modo esponenziale. Così come la delinquenza e la corruzione.
Di fatto, solo l'Eni continua a presidiare il territorio con la sua politica di equidistanza tra i due Parlamenti che si proclamano legittimi rappresentanti del popolo. L'esportazione dell'oro nero attraverso i canali Opec si è assestata grosso modo attorno ai 380 mila barili al giorno nel corso dell'ultimo anno: meno di un quarto della produzione pre-rivoluzione. Ma secondo la National Oil Corporation, di base a Tripoli, esiste un florido traffico parallelo di derivati petroliferi che alimentano un volume d'affari di oltre 10 milioni di euro al mese.
Il sogno dei federalisti della regione orientale della Cirenaica di vendere il petrolio al di fuori del canali nazionali si è infranto con l'intervento dei Navy Seals americani che, nel 2014, hanno bloccato e preso il controllo della petroliera "Morning Glory", battente bandiera nordcoreana, carica di greggio. Era un monito: non provateci mai più. Il traffico di diesel al largo della costa occidentale del Paese nordafricano verso l'Europa continua invece a prosperare. Del resto il traffico fuori controllo di petrolio intacca direttamente gli interessi delle società petrolifere internazionali, mentre quello del diesel si risolve banalmente in un mancato incasso per la Banca centrale della Libia. Così nel Paese dilaniato da localismi, potentati regionali e corruzione, una mano lava l'altra. «Anche i militari dell'agenzia europea Frontex», dice a "l'Espresso" il capo della Guarda Costiera libica Reda Eissa, «si girano dall'altra parte quando vedono tanker pieni di diesel passare sotto il loro naso».
La corruzione ha portato anche al crollo verticale della moneta locale. Sebbene sul mercato ufficiale il tasso di cambio del dinaro libico con l'euro sia rimasto stabile a 1,56 euro, al mercato nero oggi un euro costa 3,5 dinari libici, un terzo in più di un mese fa e il doppio di un anno fa. La speculazione sul tasso di cambio sembra uno dei business più floridi: cordate di dipendenti di istituti bancari negano agli sportelli la valuta straniera disponibile per redistribuirla su migliaia di conti correnti dei circuiti delle carte di credito; loro soci prelevano da questi conti corrente dollari o euro presso gli sportelli automatici in Turchia, Malta, Italia, per poi rientrare in Libia e vendere la moneta straniera sul mercato nero con un ricarico del 40 per cento.
Florido anche il mercato dei rapimenti e le bande criminali che si dedicano a questo tipo di reato si moltiplicano. A Tripoli sono decine le persone che ogni giorno spariscono. Vengono prese per strada e portate in prigioni illegali dove restano fino al pagamento del riscatto. Fuori dai centri, delinquenti armati inscenano check-point fasulli, obbligano le macchine a fermarsi e prendono conducente e passeggeri . Dal sud della Libia, a Sabha e Obari, giungono voci di frequenti sequestri di bambini. Il riscatto spesso non supera un migliaio di euro. Esistono organizzazioni che applicano lo stesso schema anche ai migranti. Pure loro sono rapiti, schiavizzati, costretti a pagare riscatti coi soldi accumulati per tentare la via dell'Europa e poi imbarcati sulle carrette del mare che sfidano la sorte nel Mediterraneo. «Morto un Gheddafi, ne sono nati altri cento», è lo slogan che si sente ripetere. Il significato è inequivocabile: prima avevamo a che fare con un bandito, ora con molti di più.
POPOLAZIONE IN FUGA - Le vittime della guerra civile in corso sono oltre 4.000 secondo fonti attendibili. L'Alto Commissariato Onu per i Rifugiati stima in 500 mila il numero degli sfollati interni solo nell'ultimo anno. A cui va aggiunto un milione di persone che hanno trovato rifugio nei Paesi confinanti come Tunisia e l'Egitto. I più lungimiranti avevano lasciato la Libia due anni fa. Quelli che sono rimasti, sperando in una ripresa del Paese e nella fine delle ostilità, si sono pentiti. «I miei amici continuano a morire. Se resto, vado a combattere anch'io. Ma questa guerra è un gioco più grande di me; e io non voglio morire per qualcosa che non capisco fino in fondo, dunque finirò col prendere la via della fuga», dice Mohammed, 25 anni, di Tripoli. Mohammed ha già provato lo scorso aprile a partire con alcuni suoi amici con destinazione Svezia, ma l'Europa ha rifiutato la sua richiesta di visto. Oggi ci sta riprovando con un permesso studio per Malta.
Espatriare legalmente per i libici è sempre più complicato. Il passaporto elettronico, obbligatorio da due mesi, costa circa 1500 euro. È la tariffa imposto dai funzionari corrotti, che approfittano della scarsa disponibilità di passaporti con microchip. La produzione di nuovi passaporti è bloccata per via dell'impasse politica-amministrativa che la presenza di due governi comporta. Anche se si riesce ad avere l'agognato documento, il visto Schengen resta nella maggior parte dei casi un miraggio.
Finora non sono molti i libici che tentano l'avventura della traversata del Mediterraneo. Tra i sopravvissuti del naufragio dello scorso agosto al largo della costa della città orientale di Zuwara c'era anche una famiglia libica. Pochi altri hanno tentato la sorte sulle carrette del mare. Ma attenzione. Se Bernardino Leon dovesse fallire, se non si troverà un accordo per far cessare la guerra civile, l'Europa dovrà prepararsi a un nuovo flusso di migranti. Stavolta non provenienti dalla Siria e dall'Africa nera. Stavolta sarebbero i libici a voler abbandonare la loro terra. E loro a Lampedusa sanno come arrivarci.