Rapporto giudiziario su Portella della Ginestra

Creato il 30 aprile 2014 da Casarrubea

Portella della Ginestra (© Archivio Casarrubea)

Per la ricorrenza del 1° maggio 1947 pubblichiamo il Rapporto giudiziario sulle stragi di Portella della Ginestra e di Partinico, conseguente, quest’ultima, all’attacco terroristico alle Camere del Lavoro della provincia di Palermo del 22 giugno di quello stesso anno.

Il documento redatto dall’Ispettorato generale di P.S. per la Sicilia, Nucleo mobile Carabinieri di Palermo, porta il titolo completo “Rapporto giudiziario circa le ulteriori indagini in merito alla strage di contrada Portella della Ginestra ed alle aggressioni, seguite pure da strage, alle sedi dei partiti socialcomunisti in provincia di Palermo”. Con questa precisazione: “Denunzia del bandito Giuliano Salvatore ed altri 44 suoi affiliati di cui 16 arrestati, 14 latitanti, 11 irreperibili e 3 uccisi, tutti responsabili in concorso tra di loro, di tali delitti, nonché di partecipazione a banda armata e detenzione abusiva di armi e munizioni da guerra”. Il documento porta il numero 37 e la data del 4 settembre 1947. Ha 29 allegati e si trovava alla Città giudiziaria di Roma, presso l’Archivio generale della Corte di Appello, processo 13/50 della Corte di Appello di Viterbo, cartella 7 voll. VIII-IX. E’ firmato dal maresciallo Giovanni Lo Bianco, e da altri due marescialli allora assegnati alla Caserma dei Carabinieri di Montelepre: Giuseppe Calandra e Pierino Santucci.

Qualche anno fa i 14 faldoni che compongono gli atti processuali, su richiesta del senatore Angelo La Bella e della studiosa Rosa Mecarolo, di Viterbo, furono trasferiti presso la Cancelleria storica di questa città laziale.

Roma, corteo dopo la strage di Portella

Il rapporto è frutto dell’interrogatorio dei seguenti banditi o vicini alla banda, fermati nelle settimane o nei mesi immediatamente successivi alla strage del 22 giugno 1947: Francesco Gaglio, alias Reversino, che fu il primo a rompere il muro di gomma dell’omertà, Giuseppe Sapienza, Antonino Gaglio, Francesco Tinervia, Vincenzo Sapienza, Domenico Pretti, Giuseppe Tinervia, Giovanni Russo, Antonino Terranova, alias “U figghiu du miricanu”, Antonino e Vincenzo Buffa, Gioacchino Musso, Giuseppe Cristiano, Vincenzo Pisciotta di Francesco, Giuseppe Di Lorenzo, Salvatore Pisciotta fu Gaspare. L’input alla catena delle dichiarazioni fu dato da Salvatore Ferreri, alias Fra’ Diavolo, che fece il nome del Gaglio come l’anello debole della rete criminale della banda. Per quanto fosse nei circuiti della parentela dei Giuliano, Reversino non era mai riuscito a fare carriera nella banda, e nutriva, pertanto, una sorta di rancore verso i capi dell’organizzazione.

Le vedove dei caduti a Portella e a Partinico, mentre vanno al processo di Viterbo (Archivio Casarrubea-la seconda da destra è mia madre, la terza, la vedova Lo Iacono)- 1950 -

Come si può notare nell’elenco mancano i grandi latitanti, a cominciare da Giuliano e Gaspare Pisciotta, o Pasquale ‘Pino’ Sciortino, quest’ultimo fuggito negli Usa, nelle settimane successive alle stragi. Rintracciato dall’FBI fu ricondotto in Italia nel 1952 per scontare l’ergastolo al quale lo avevano condannato i giudici di Viterbo, poi commutato in 27 anni di prigione.
Il documento presenta diversi limiti di cui abbiamo parlato in molte altre sedi e ricerche, edite da tempo. Qui ci basta evidenziare la carenza delle organizzazioni mafiose in sede di indagine giudiziaria; la visione localistica e quasi antropologica della banda in questione; i suoi pesanti collegamenti con il mondo del neofascismo italiano per i quali si rinvia alla bibliografia sul tema presente in questo stesso blog e più in generale negli studi condotti da chi scrive e da Mario J. Cereghino.

Preciso, in ultimo, che il documento in parola, nell’Archivio Casarrubea, esiste in duplice copia: la prima, completa di allegati, proviene dalla Corte di Appello di Roma; la seconda, anch’essa completa di 29 allegati, dalla donazione  fatta all’Archivio dai Tagliafierro.

Come il lettore potrà vedere i giudici, sia a Viterbo sia anche a Roma, ritennero gli assalti alle Camere del Lavoro, una precisa continuazione dell’azione terroristica iniziatasi a Portella (ma in realtà già da prima) e considerarono gli esecutori come la stessa mano armata di un unico disegno criminale. Per questo motivo è assai inquietante che, dopo quasi settant’anni, i rappresentanti della Camera del Lavoro di Piana degli Albanesi, considerino la strage del primo maggio come un evento che appartiene solo alla loro identità linguistica ed etnica, rimanendo tragicamente affossati in una lettura locale del fenomeno, separato dal contesto di tutte le altre stragi avvenute altrove, prima o anche dopo quella data. Fatto che inchioda ancora oggi Portella alla versione che ne diede il 2 maggio 1947 all’Assemblea dei padri Costituenti, il ministro dell’Interno Mario Scelba (DC), quando, a meno di 24 ore di distanza dall’evento, additò  Giuliano come unico responsabile della strage e sostenne che si era trattato di un episodio di arretratezza feudale.

Purtroppo, come oggi sappiamo, le cose non stanno proprio così.

Giuseppe Casarrubea

per leggere il rapporto giudiziario sulle stragi di Portella della Ginestra e di Partinico, clicca qui: Rapporto giudiziario n.37 del 4 sett. 1947

Per leggere la prima pagina de L’Unità del 24 giugno 1947 sulla strage di Partinico, clicca qui: L’Unità, 24 giugno ’47 sui fatti di Partinico

N.B.: ultima lettura di questa pagina: ore 18,15 del 30 aprile 2014.


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