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Rashad Alakbarov: luci e ombre per consacrare gli oggetti di uso comune
Creato il 05 giugno 2012 da Saradurantini @SaraDurantiniDieci anni nascondono il loro carattere perverso tra le pieghe del collo, tra le prime rughe sulla fronte, negli occhi spenti appena svegli quando, davanti allo specchio, scopriamo un volto che non riconosciamo essere nostro. Sono trascorsi dieci anni da quando lessi quel reportage di un giornalista e scrittore che effettuò un lungo viaggio partendo dalla Turchia, attraversando Iran, Iraq fino a toccare le terre dell'Azerbaijan. Nonostante mi sfugga il titolo e la casa editrice, il ricordo di quel viaggio rimase vivido nella mia memoria. Erano gli anni sessanta quando il giornalista partì dall'Italia e io ricordo quelle pagine pregne di profumi d'oriente, caravan gonfi di persone stremate dagli sbalzi di temperatura, minuscole e maleodoranti stanze in cui il viaggiatore aveva trovato ristoro, gli sguardi diffidenti oltre i veli, altri invece compiaciuti e curiosi, povertà, vuoto e vicinanza.
Ho ripensato a questo saggio ammirando le opere di Rashad Alakbarov, un artista originario dell'Azerbaijan che utilizza materiali di uso comune per creare opere d'arte che stravolgono la realtà, isolando un'immagine altra che nulla ha a che vedere, almeno a primo acchito, con ciò che la circonda. Sono dischi usati, bottiglie di plastica, ninnoli che non hanno alcuna importanza, cose da soffitta, cose da spazzatura o da riciclo. Eppure Rashad Alakbarov consacra, con sagace invettiva, questi oggetti quotidiani inserendoli in un discorso più ampio della semplice creatività artistica.
Le opere di Rashad Alakbarov rielaborano il concetto atavico dell'illusione, ma anche della fuga e della ricerca, della conoscenza e della coscienza. Come in un gioco di prestigio, gli oggetti vengono disposti, con maniacale precisione, su un ripiano o oppure appesi al soffitto, e il tutto è volto alla conversione dello scettico sguardo umano in sacrale ricerca della conoscenza.
In un paese, come l'Azerbaijan, che è stato consumato dall'occupazione russa e in cui l'Islam viene trattato come una questione culturale e non tanto come un fatto religioso, le opere di Rashad Alakbarov sembrano collocarsi nel panorama storico-culturale e sociale del Paese. Eteree, diafane, le opere mostrano ciò che, altrimenti, l'occhio umano non riuscirebbe a vedere, permettono di percepire la vastità di significati insita nell'assemblaggio di oggetti comuni riflettendo l'atmosfera di un Paese che si mette continuamente in discussione, valutando e interrogando le varietà culturali e sociali che lo compongono. Le stesse varietà che, se assemblate, potrebbero mostrare l'omogeneità e l'unicità proprie di una grande Repubblica.
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