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Ci si concentra, vedo, sulla faccenda dell’invito all’ambasciata inglese, per sottolineare, e comunque non a torto, il vizio paranoico che porta Grillo a interpretare l’episodio come il capitolo di un complotto. Ora, è vero, la dimensione in cui si muove Grillo ha senza dubbio il segno della distorsione percettiva della realtà, com’è d’altronde per buona parte dei leader che danno voce a pulsioni prepolitiche per rappresentarla come trama in cui essi entrerebbero da sovvertitori delle regole che la rendono mostruosa, e tuttavia nell’intervista concessa a Mentana vi è qualcosa di assai più agghiacciante che mi pare sia sfuggita a gran parte dei commentatori: Grillo presume che le regole si possano sovvertire semplicemente rivelandone il fine, cioè condannando in esse la ratio che le predispone a motore di ingiustizia. Può sembrare ingenuità, dunque elemento di debolezza nell’analisi da cui dovrebbe muovere l’alternativa del M5S, ma in realtà si tratta dell’elemento di forza che è nelle mani di chi recluta l’altrui ingenuità al proprio fine, che spesso non è neppure la costruzione di un potentato ma solo un’avventura, per fame di avventura: poco importa se Grillo creda davvero o meno in ciò che dice, di fatto intende dar corpo proprio all’ingenuità che conta sulla possibilità di alternativa nella mera semplificazione della realtà all’ordito che le darebbe un significato inequivoco. In tal senso, dirsi «portavoce» del M5S non è un vezzo: Grillo sarà senza dubbio il proprietario della baracca, ma in sostanza si offre davvero e per intero a quell’enorme massa di irresponsabili che s’illudono di trovare giustizia semplicemente nell’abbattimento di un sistema ingiusto, se possibile.In altri termini, direi, che la mancanza di un organico disegno di società spesso rinfacciato a Grillo sia la vera forza del suo movimento, oltre a costituirne il vero pericolo. D’altro canto, fatta eccezione per qualche colto rintanato nella sua turris eburnea, che guarda e dispera, di organici disegni di società non se parla, al più di riformucce, toppe, dispositivi dilatori. La cosiddetta «morte delle ideologie» ci avrà pure liberato dal rischio di filtri monocromi e almeno tendenzialmente totalitari, ma ci ha privato della chiave per dare articolazione in un sistema a soluzioni isolate, perfino sagge se avulse dal contesto che le rende irrilevanti o velleitarie. Perciò direi che l’elusione di ogni domanda di Mentana relativa al «dopo» la conquista della maggioranza assoluta da parte del M5S sia cifra più significativa di ciò che ormai anche Grillo non rifiuta più di chiamare grillismo: c’è voglia di distruggere, a fronte di chi si illude che basti rappezzare, ma non c’è un cane che abbia un progetto o, se ce l’ha, esita perfino a dargli un nome, perché dovrebbe giocoforza dirlo sussidiario (socialdemocrazia, dottrina sociale cattolica o liberalismo temperato). Mancano le idee, perciò vincono le urla. E senza dubbio Grillo urla bene, anche quando, com’è stato nell’intervista concessa a Mentana, usa toni morbidi e a tratti suadenti. Allo stato, è il punto più avanzato del post-ideologismo, dunque può permetterselo. E se dall’affogare in questo mare di merda ci si può salvare solo ingurgitandone il tanto che basta a farne scendere un po’ il livello, si potrebbe perfino fare un pensierino a dargli il voto, almeno alle Europee. In fondo, alla crisi dello stato liberale non c’era altro sbocco che il fascismo o, se c’era, non si riuscì a trovarlo. Penso che rassegnarsi al peggio sia infruttuoso, tanto vale assecondarlo per affrettare i tempi.