Laura Rio su Il Giornale scrive che la fiction dal “gusto provinciale” è lontana dalla scrittura moderna di cui a volte anche la Rai ha dato prova e riassume in sé alcuni dei motivi per cui le serie della Rai sono destinate a restare ancorate a vecchi schemi:
Più che la montagna degli italiani, pare la montagna dell’italietta. Perché la fiction sulla conquista del K2 riassume in sé alcuni dei motivi per cui le serie della Tv pubblica sono destinate a restare ancorate a vecchi schemi. Nonostante la serie andata in onda su Raiuno lunedì e martedì sia una coproduzione italo-austriaca (Rai Fiction, Red Film e Terra Internationale Filmproduktionen) e sia stata realizzata una versione in inglese. A parte il pasticcio della ricostruzione storica di cui si è lamentato, tra gli altri, Reinhold Messner, a lasciare perplessi è il passo incespicante della sceneggiatura e il livello della recitazione. Certo, lo sforzo della Rai, della produzione e degli attori (tra gli altri Marco Bocci nei panni di Walter Bonatti e Massimo Poggio in quelli di Achille Compagnoni) che per otto settimane hanno girato a più di 3mila metri di altezza vestiti con abiti anni ’50 è lodevole, ma rimane in bocca un gusto provinciale. Si resta nei limiti dello sceneggiato per la platea del primo canale, lontano dalla scrittura moderna di cui a volte anche la Rai ha dato prova. E il pubblico lo ha capito. Martedì sera, seconda e ultima puntata, la fiction è stata sorpassata da Ballarò di Raitre: 4.516.000 spettatori con solo il 16,6% di share contro il 19. Altro che vetta.
Invece su L’Avvenire Mirella Poggialini si chiede se coloro che hanno visto in tv la fiction avevano seguito gli avvenimenti dal vivo e se i giovani hanno scoperto dal piccolo schermo una conquista italiana:
Come sono lontani gli Anni ’50, quelli in cui l’italia si risvegliò dalla guerra e dal dopoguerra con una tenace voglia di rivincita! Nella fiction K2-La montagna degli italiani che Rai2 ha proposto lunedì e martedì, con risultati di medio livello (4.860.000 spettatori la prima serata, share 16,69%; 4.516.000, share 16,64% per la seconda) lo si nota nella presentazione dei personaggi, la comunità alpina descritta con patinata eleganza e costumi improbabili, tanto quanto, nella seconda, le tute impeccabilmente stirate degli alpinisti. Personaggi un po’ ingessati, che devono delineare quel rapporto complesso di amicizia ma anche di rivalità che caratterizzerà i dodici scalatori alla ricerca di un primato mondiale, l’ascesa al K2. Quella che De Gasperi definirà, accettando la proposta di Ardito Desio, «il ritrovare l’orgoglio di essere italiani». Tema adatto per l’attualità, oltre che per la celebrazione del centocinquantenario dell’unità d’Italia, tema svolto soprattutto nella seconda parte, quando i nostri si accingono alla scalata e si prospettano difficoltà e tensioni. Così la bellezza delle immagini (non gli ottomila del K2, in verità, ma montagne austriache di 3500 metri, comunque suggestive) si allea alla descrizione puntuale delle gelosie e delle rappacificazioni, delle rivalità e dell’egoismo purtroppo insito in certe sfide: e la didascalia finale specifica che la sceneggiatura si basa sul diario di Walter Bonatti, che Compagnoni accusò di non aver portato in cima le bombole di ossigeno e che invece rimproverò il collega di averlo lasciato solo senza soccorso per una notte nel ghiaccio. Ma tutto finisce bene, tutti sono felici, «il K2 è una montagna italiana!», in barba agli americani che non l’hanno conquistato, e l’orgoglio è salvo. Immagini e psicologia, narrazione precisa e un tantino prolissa, con una curiosità: quanti di coloro che l’hanno vista in tv avevano seguito gli avvenimenti dal vivo? E quanti giovani hanno scoperto dal piccolo schermo una conquista italiana?