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Ratzinger si dimette, altri dismettono il Paese

Creato il 12 febbraio 2013 da Albertocapece

il_messaggio_di_dimissioni_del_papa_6551Lo so che è banale, che l’hanno detto in centinaia, anzi in migliaia piaciando e ritwittando, ma le dimissioni di Ratzinger sono scandalose soprattutto per chi non si dimette mai, per quel piccolo mondo antico antico italiano che rivendica la carica a vita nelle proprie funzioni o notorietà, per chi riveste cariche pubbliche e istituzionali ma si vede come un Papa.  Eppure ci sarebbero tutte le circostanze e le ragioni per fare finalmente un gran rifiuto, ammettendo come ha fatto il Pontefice di non essere più in grado di reggere la realtà che avanza. Da ieri e fino alla prossima fumata bianca ci inoltreremo nel dedalo della domande sulla salute di Ratzinger e su cosa si nasconda dietro le sue dimissioni.

Certo l’affare della pedofilia che è scoppiato come un campo di mine in tutto il mondo, certo lo Ior e i suoi misteri che sono sempre sulla soglia di qualche scandalo, certo l’indecoroso scontro di potere all’interno del Vaticano che genera corvi, ma sono tutte cose che Benedetto XVI conosceva perfettamente essendone stato spettatore e in qualche caso protagonista. La sua solitudine non deriva da questo, ma dal fatto che il clima paludoso si accompagna anche al fallimento di un progetto di restaurazione o forse della mancanza di progetto che è stato il modo di essere della Chiesa fin dall’elezione di Wojtyla.

Il papa polacco avrebbe dovuto aprire una chiesa che da secoli non aveva che papi italiani e invece proprio il pontefice viaggiatore e mediatico la provincializzò dentro lo scontro tutto sarmatico, teso a liberare la Polonia. Quale che sia stato l’effettivo ruolo del Papa nel crollo del comunismo – a mio giudizio poco più di quello di un cappellano del capitalismo occidentale in grado di fornire le attese benedizioni- Giovanni Paolo II dimenticò qualsiasi altra questione. Dimenticò proprio quel mondo che instancabilmente viaggiava, come surrogato a un ministero sempre più privo di senso. I fedeli erano ormai  dislocati in Africa e in America Latina, culture ed espressioni diverse da quelle europee erano ormai prevalenti, condizioni nuove s’intersecavano nelle modalità sociali: ma la Chiesa non rinunciava alla sua misoginia, alla sua sessuofobia, al celibato con tutti i problemi anche drammatici che comporta anche in termini di crollo delle vocazioni, a una teologia esclusivamente finalizzata alla conferma della dottrina ecclesiale, a una dottrina sociale poco più che discorso d’occasione, a un progressivo allontanamento dalla vita e dal progresso del sapere in favore di un dogmatismo senza uscite. Strano congelamento  per  una religione che ha sempre costruito la sua dottrina e persino i suoi testi sacri seguendo il filo degli eventi e dei cambiamenti.

Ma Wojtyla e Ratzinger pur essendo consapevoli dei problemi non hanno voluto, per loro esplicita ammissione, mettere mano al rinnovamento profondo e anzi in questo loro esitare sono tornati indietro. La saldatura di tutto questo con gli scandali e l’esplosione delle lotte di potere, è stato troppo per Ratzinger.

Ma tornando all’inizio del discorso questo non sembra toccare la classe dirigente italiana, quella politica in testa: ed è chiaro che  il marcio che si sprigiona ad ogni livello, la volgarità morale e intellettuale di molti protagonisti è solo un’aspetto correlato al congelamento dell’elaborazione politica, al rifugio nelle formule, negli slogan, nel dogmatismo del pensiero unico, al silenzio della ragione in un momento in cui la storia ha di nuovo infilato gli stivali e dopo un sonno lungo vent’anni si è rimessa in moto. Di fronte a questo fallimento non ci sono dimissioni: si preferisce dismettere il Paese.


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