Non capita tutti i giorni di incontrare cineasti che abbiano filmato esperienze estreme, come la cosiddetta ‘human suspension’ o ‘body suspension’. Ancor più difficile trovarne qualcuno che, oltre a filmarla, abbia voluto provare sulla propria pelle l’effetto di una simile performance!
Anche per questo, dopo aver incontrato a Ravenna la minuta, simpatica e grintosissima Kate Shenton, film-maker inglese che nel girare un documentario sull’argomento si è messa in gioco completamente, non abbiamo voluto perdere l’occasione: del resto il suo film, On Tender Hooks, ci è sembrato avere sin dall’inizio l’approccio giusto a situazioni così delicate, raccontate senza abbellimenti ma con grande rispetto per le scelte di chi vuole mettersi alla prova in un modo così doloroso, foriero però di una diversa presa di coscienza del proprio corpo e dei propri limiti. Tant’è che la stessa Kate ha voluto, con indubbia coerenza, sperimentare cosa si prova a farsi sospendere in aria con dei ganci infilati sotto la pelle…
Di questo e di altro ancora abbiamo parlato con lei, dopo aver ripristinato il contatto nato durante il Ravenna Nightmare, in un clima di grande cordialità, franchezza e apertura mentale.
In che modo è iniziato questo tuo interesse per artisti e autori di performance, coinvolti nell’arte della “body suspension”?
Tutto è cominciato con il mio migliore amico Damien. Lui è un mago del freak show, così sono abituata da sempre al fatto che lui faccia cose abbastanza folli. Un giorno stavamo prendendo una pizza e una birra insieme, e lì Damien mi ha detto che voleva fare questa cosa chiamata ‘body suspension’. Non sapendo cosa fosse, gli ho chiesto di mostrarmela. Ha tirato fuori il suo computer portatile e ha messo una clip su YouTube. Sono rimasta scioccata. “Oh mio Dio! È orribile. Perché vorresti fare questo?” Damien mi ha detto che era qualcosa che avrebbe voluto fare da parecchio tempo e che aveva trovato un gruppo di praticanti a Londra. Stava progettando di prenotare la sua prima sospensione con loro. “Ma perché?” Continuavo a chiedergli. Damien ha poi programmato la sua ‘sospensione’ e ha chiesto se potevo venire a sostenerlo. Ho detto che non pensavo che sarei stata in grado di guardarlo con i miei stessi occhi…. ma che se lo avessi filmato, sarebbe stata una cosa diversa. L’obiettivo della videocamera è una delle più grandi difese, quando si guardano cose che noi non pensiamo di essere in grado di guardare. Così abbiamo concordato che avrei filmato la sua prima sospensione e che l’avrei trasformata in un cortometraggio. Questo cortometraggio ha partecipato a 14 festival internazionali, e da qui ho deciso di espandere il progetto facendo di On Tender Hooks un lungometraggio di natura documentaria.
Come hai deciso di lavorare, per il documentario “On Tender Hooks”? E quando sei arrivata alla decisione di provare una cosa del genere sul tuo corpo?
In tutta onestà, non c’era alcun piano. È stato un film del tipo ‘segui il flusso’, ‘fatti portare dalla corrente’. All’inizio ho cercato di pianificare le cose, ma tutto ciò che programmavo è rapidamente venuto meno. Io credo che ogni film che fai passi attraverso un differente ‘percorso creativo’ da seguire. Alcuni film devono essere pianificati con attenzione, perché questo è ciò che l’idea richiede, altri hanno bisogno di essere più spontanei. On Tender Hooks appartiene al secondo filone. Non avevo nessuna idea di quello che il film sarebbe stato alla fine, e nessuna idea della parte che avrei girato dopo. Ho montato tutto mentre andavo avanti perché volevo che il pubblico sperimentasse la sensazione di non sapere realmente dove avrebbe portato il passo successivo, che è la sensazione da me provata più spesso durante le riprese.
Comunque la decisione di provare io stessa la ‘sospensione’ è avvenuta nel medesimo istante in cui ho deciso di trasformare On Tender Hooks in un lungometraggio. Non pensavo che avrei potuto fare questo film senza sospendermi ai ganci a mia volta. Ecco perché è quella la prima ripresa che ho voluto fare per il film e sinceramente credo che la decisione abbia cambiato la ragione per cui On Tender Hooks è stato fatto.
Quanti posti hai visitato per girare il film? E in che paesi?
La maggior parte delle riprese è stata fatta nel Regno Unito, in Croazia e a Oslo. Mi sarebbe piaciuto filmare anche altri posti ma non è stato possibile, per via delle limitate risorse.
Puoi descriverci le tue impressioni, circa le ragioni reali per cui determinate persone vogliono provare una performance così dolorosa? Parlando con te, hanno focalizzato i loro discorsi su una possibile impronta spiritualista, relativa per esempio all’influenza di certe culture primitive, oppure su un modo molto personale, profondo, di sperimentare emozioni e sfide talmente estreme?
Ho sentito ragioni molte diverse per cui le persone vogliono provare la ‘body suspension’ sul proprio corpo. Ecco perché il film non si limita a seguire una sola persona. Voglio catturare quante più persone ed esperienze possibili. A mio parere, un sacco di motivi per fare la ‘sospensione’ sono legati al flusso di reazioni chimiche che attraversa il corpo, quando la si fa. Ed è una sensazione molto potente. Per me è stata come una brezza fresca che passa per tutto il corpo. Dopo di che ho avvertito persino l’impressione che il corpo e la mente non fossero più collegati.
Tuttavia penso anche che una gran parte dell’esperienza coincida col processo di alzarsi in aria. Personalmente ho provato una sensazione molto dolorosa, ma superando quel dolore mi ha dato molta forza. Quella forza che ora posso portarmi dietro ovunque io vada.
Quale è stata, in generale, la reazione del pubblico di fronte al tuo film? Ha partecipato a numerosi festival? E cosa puoi dirci circa il periodo che hai trascorso a Ravenna?
Ogni proiezione del film ha creato una reazione diversa dalla precedente. Alcuni spettatori hanno reagito più rumorosamente, altri si sono dimostrati più riflessivi e tranquilli. Il film al momento è proiettato in quattro festival cinematografici e a ogni proiezione non posso mai sapere, in anticipo, come il pubblico reagirà.
Mi è davvero piaciuto stare al festival di Ravennaa. Ho passato un periodo incantevole, anche se poi ho dovuto affrontare una piccola dieta, per compensare tutto il buon cibo e il vino che lì ho consumato.
Puoi dirci qualcosa sui cortometraggi realizzati in passato e qualcos’altro, magari, sui tuoi prossimi progetti?
Ho girato un sacco di cortometraggi prima di arrivare a On Tender Hooks. La maggior parte l’ho fatta con un budget limitatissimo che andava da 50 a 1000 sterline. Tutti questi hanno continuato a girare per festival internazionali, anche se alcuni sono stati proiettati più di altri. Il mio cortometraggio preferito Gimp ha partecipato a meno festival cinematografici, ma credo che ciò sia dovuto al fatto che in esso c’erano un po’ troppi “sex toys”!
Per quanto riguarda l’immediato futuro, ho un paio di progetti che prossimamente verranno realizzati. In vista c’è un film horror intitolato Baby Face e una ‘zombie horror comedy’ che chiamerò invece You, Me and the End of the World. Entrambe le produzioni sono già allo stadio finale.
Nella speranza di vedere presto questi film al Ravenna Nightmare, ci congediamo per il momento dalla simpatica e disponibilissima Kate Shenton, augurandole ogni soddisfazione possibile per il prosieguo della sua già promettente carriera cinematografica.
Stefano Coccia