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Ravenna Nightmare: “Jamie Marks is Dead” di Carter Smith

Creato il 30 ottobre 2014 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Jamie Marks è morto. Viva Jamie Marks! Celebrazione di rapporti che vanno oltre la morte, il film di Carter Smith piega con una certa maestria gli elementi della “ghost story” ad atmosfere e situazioni tipiche del cinema “indie” statunitense. Un mood tipicamente da Sundance, volendo essere più specifici. Ciò che ne deriva è quasi un “teen movie” con fantasmi, capace di far riflettere sui risvolti psicologici più delicati dell’età inquieta per eccellenza, prima ancora che di far rabbrividire lo spettatore. Eppure le rappresentazioni macabre non mancano certo. A partire dalla scena iniziale, e cioè dal ritrovamento del cadavere seminudo dello stesso Jamie Marks, in un’area piuttosto desolata e triste accanto al fiume. Vittima di abusi e sevizie? Vittima di un maniaco? Anche nella scuola da lui frequentata sembra regnare il più stretto riserbo. Un po’ per la crudezza delle circostanze, un po’ perché in fondo di quel ragazzo riservato ed estremamente impacciato non gliene era mai fregato niente a nessuno, né agli insegnanti né tantomeno ai compagni di classe. Anzi, come gli spettatori di Jamie Marks is Dead verranno ben presto a scoprire, da questi ultimi il poveretto veniva regolarmente vessato…

Il lungometraggio sposa quindi il punto di vista di Adam: un ragazzo più sensibile di altri che, contrariamente a quel bullo del fratello maggiore, nei confronti dell’adolescente morto aveva già dimostrato un contegno diverso, più rispettoso, quand’era in vita. Non a caso sarà ad Adam che il fantasma di Jamie continuerà ad apparire, potendo finalmente diventare suo amico. Ecco perciò che Jamie Marks is Dead si configura anche come dolente racconto di formazione, dai tratti ora delicati e ora aspri, che vede confrontarsi il giovanissimo Adam sia col mondo dei vivi che con i morti. Di questi ultimi viene descritto malinconicamente un residuale legame con la Terra, fatto perlopiù di rimpianti, rancori e ricordi di una fine violenta, traumatica. Mentre del rapporto di Adam con l’ambiente circostante colpisce soprattutto l’affetto tra lui e una ragazzina eccentrica, collezionista di minerali, nella cui stanzetta piena di “mirabilia” si svolgono alcune delle scene più belle.

Fino ad ora Carter Smith, film-maker del Maine cresciuto professionalmente nel mondo della fotografia di moda, aveva firmato soltanto un horror abbastanza mediocre, Rovine (2008), uscito peraltro anche da noi. E persino un lavoro come l’ultimo, decisamente più riuscito, non è esente da qualche motivo di perplessità: per esempio il sub-plot in base al quale si sviluppa un’amicizia tra la madre di Adam, interpretata dalla sempre incantevole Liv Tyler, e la donna che le ha causato un grave incidente, appare tratteggiato con rara superficialità e inconcludenza. Ma nel complesso quegli intrecci, che legano l’adolescenza del protagonista tanto al proprio ambiente famigliare che alle sfuggenti dinamiche dell’oltretomba, sono resi bene, al punto di propiziare in certi momenti una forte empatia tra lo spettatore e il desiderio di verità del protagonista. Appare quindi maturato, Carter Smith, cineasta che qui oltre a dirigere il film ne ha curato anche la sceneggiatura, adattandola dal romanzo One for Sorrow di Christopher Barzak.

Stefano Coccia      


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