Fa senz’altro piacere che uno dei film più belli visti finora al Ravenna Nightmare, XI edizione, sia opera di un esordiente al lungometraggio, che in precedenza si era diviso tra lavori televisivi e cortometraggi come Pieces, col quale ha anche vinto la Turner Short Film competition. Il cineasta in questione si chiama Oliver Frampton. E questo nome viene così ad arricchire una galleria di autori, tutti provenienti dal Regno Unito, che negli anni passati hanno dimostrato al pubblico di Ravenna quanto la scena britannica, in relazione all’horror, possa essere vitale: su tutti Sean Hogan, Andrew Parkinson, Simon Rumley e Alex Chandon, che un anno fa trionfò al festival grazie a Inbred, horror-comedy sguaiata, irriverente e grandguignolesca.
Toni di tutt’altro genere per The Forgotten, il film della “new entry” Oliver. Il prestante ragazzone inglese, scortato al Nightmare dalla produttrice Jennifer Handorf (la stessa, per inciso, che ha sostenuto spesso Sean Hogan a livello produttivo), ha saputo turbare la platea con un racconto in cui il malessere sociale delle periferie londinesi, la cadenza da “ghost story” metropolitana e le terrificanti atmosfere tipiche del J-Horror si sovrappongono mirabilmente, in un intreccio unico e di grande spessore emotivo. Di questo giovane autore, insomma, già ci piacciono sia la capacità di riversare nel genere le inquietudini di un disconnesso e precario tessuto antropologico, sia quella precoce maturità stilistica che lo fa tendere, per esempio, verso un fuori campo utilizzato in modo perturbante e assai consapevole. Non a caso il film inizia con lo spaesamento totale di un nero della pellicola, nella cui oscurità si ascolta una telefonata alla polizia dai contenuti drammatici.
Dopo la misteriosa e inquietante telefonata ci si confronta col vissuto quotidiano di alcuni personaggi, che, oltre ad apparire in fuga da qualcosa o qualcuno, sembrano occupare una posizione infima, marginale, nella società cui appartengono; monadi alla deriva, in un ambiente sottoproletario che rivela sin dall’inizio tutta la sua durezza. Tra di loro, spicca l’isolamento cui si sono volontariamente sottoposti il giovanissimo Tommy (Clem Tibber) e suo padre Mark (interpretato dall’esperto Shaun Dingwall), un uomo che sta sprofondando sempre di più, tanto da portare il figlio a vivere in un caseggiato abbandonato da tempo, dove sarà relativamente agevole per loro occupare uno dei tanti appartamenti in rovina. Messa così, sembrerebbe quasi la trasfigurazione di un film di Ken Loack, sia per la tipologia ricorrente dei personaggi che per il modo di rappresentare la loro vita, da parte del regista. Ma in quello squallido caseggiato qualcosa di sinistro è precedentemente accaduto e sta forse per ripetersi. Le atmosfere di The Forgotten virano così verso un horror soprannaturale, dalle implicazioni psicologiche molto ben studiate, che può ricordare quelli di un Hideo Nakata o di un Pou-Soi Cheang, traslati però nel contesto europeo. E dal prosieguo della storia, in cui viene presto coinvolta la nuova amica di Tommy, ragazza dall’animo generoso e a tratti impavido, si delineerà presto in un crescendo di tensione l’amara scoperta: quanto possa essere facile venire rimossi, dimenticati, in una cornice metropolitana così cinica e spietata.
Stefano Coccia