Raymond Chandler e le tre regole dell'umiltà

Creato il 08 aprile 2011 da Paciampi
Era un grande, un grandissimo, Raymond Chandler, il maestro del romanzo hard-boiled, il babbo di quel Philip Marlowe che ho imparato a sognare con le espressioni e i movimenti di Humphrey Bogart, ma che, a mio parere, è ancora più avvicente se lo lascio prendere vita dalla pagina.
E' un grande, ed è uno di quei grandi che viene voglia di conoscere anche per quello che è stato anche nella vita, senza paura di esserne deluso. Per questo mi aspetto molto da Parola di Chandler, libro magnificamente presentato qualche tempo fa da Giuseppe Culicchia su Tuttolibri (Caro Marlowe raccontaci un'altra storia).
Quando avrò voglia di alimentare il mio immaginario con l'America noir, ferocia delle metropoli e ambizioni di celluloide, giungle d'asfalto e bourbon scolati all'alba, improvvisazioni jazz e squarci di malinconia, ecco, quando avrò voglia questo sarà un libro che dovrò leggere.
Intanto scopro che il grande Raymond era grande anche nell'umiltà. Sentite in che modo faceva entrare nel suo laboratorio di scrittura:


Come scrittore con vent'anni di esperienza professionale ho incontrato ogni genere di persona. Quelli che dicono di saperne di più sulla scrittura sono proprio quelli che meno sanno scrivere. Meno fai caso a loro e meglio è. Così ho inventato tre leggi per scrivere a mio proprio uso, che sono assolute: non seguire mai i consigli. Non mostrare mai il lavoro svolto né discuterne. Non rispondere mai a un critico
Tre regole che portano al silenzio. Alla solitudine figlia dell'umiltà, non di chi respira alto perché si è innalzato sul suo piedistallo. Tre regole che mi piacciono.

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