Il trevigliese ne esce un po’ meglio, anche se dipinto come ignorante e rozzo. Egli, abitando a metà strada tra Bergamo e Milano, ha subìto influenze da entrambe le città: “del bergamasco possiede certamente il senso del lavoro, un lavoro molto intenso, svolto con semplicità e orgoglio, senza minimamente lamentare la fatica; parsimonioso, ma non tirchio, risparmia ma sa rischiare; del milanese manifesta una certa ambizione, senza però possederne la cultura e l’apertura”. Il trevigliese sarebbe poi molto acuto e ingegnoso, ma insensibile ai grandi ideali, e in generale è più bergamasco che milanese “come attesta il dialetto, molto espressivo ma non molto raffinato”.
Ancora una volta, dunque, è confronto antropologico tra Nord e Sud, con teorie bizzarre e senza fondamento scientifico che vengono insegnate ai ragazzi di 11 anni, e ne escono ancora un Nord incessante lavoratore e un Sud in attesa della manna dal cielo, del “padrone” o del politico che gli dia lo stipendio, perché da solo non è capace di creare e gestire un’azienda (chi ha scritto quel testo ha evidentemente scordato che Carlo Bombrini affermò, appena dopo l’Unità d’Italia, che il Sud non avrebbe più dovuto essere capace di intraprendere). Tra i trevigliesi e i sorrentini emerge il milanese ricco, colto e di mentalità aperta, però ancora devo segnalare una dimenticanza, ossia i tanti voti che le Lega Nord, il partito fondato proprio sul razzismo e l’intolleranza verso chiunque sia “diverso”, prende nel capoluogo lombardo (i milanisti leghisti sono la minoranza rispetto agli altri, però ce ne sono tanti, come testimoniano le non poche manifestazioni organizzate da milanesi perbene contro il razzismo, a evidenziare un problema avvertito in città). Il libro in questione, infine, è milanese, e a mio avviso di colto e mentalmente aperto ne ha ben poco. Cesare Lombroso a quanto pare continua a vivere, e con lui i vari Bombrini, Cavour, Bixio e compagnia bella.