Che per ragioni cinematografiche, di cronaca e letterarie il termine "casalese" sia ormai diventato sinonimo di uno stereotipo negativo, legato al mondo della camorra, non è un mistero. Un aggettivo che è diventato una bestemmia ed una condanna per centinaia e centinaia di casalesi onesti che sono in giro per l'Italia, costretti ora finanche a rinnegare le proprie origini per un posto di lavoro.
Si ritorna al fatidico "Non si affitta ai meridionali" che oggi diventa "nessun lavoro per i casalesi" , ovvero per gli abitanti di Casal di Principe.
E nell'estate dell'Italia delle bandiere tricolore ai balconi, del "volemose bbene" del "siamo uniti", vengono al pettine i nodi di un razzismo mai sedato, anzi aizzato dalle forze politiche che su esso speculano, nei confronti dei meridionali.
«Non puoi lavorare perché sei di Casal di Principe». E’ questa la risposta data a decine di di lavoratori di Casal di Principe, e non solo, che cercano un impiego nei vari cantieri edili in tutta Italia. Questo tipo di discriminazione, oramai, è sempre più diffuso e viene denunciata da moltissimi operai che ogni giorno cercano di trovare un lavoro per sfamare la propria famiglia.
È così che si scopre che anche tra italiani può esserci una sorta di razzismo. I casi aumentano giorno per giorno. Quanto sta accadendo viene evidenziato da quegli stessi lavoratori che, solo pochi mesi addietro, avviarono una protesta, con la quale denunciavano il proprio status di disoccupati ed ammettevano di essere pronti a lavorare anche per 30 euro al giorno pur di riuscire a comprare i beni di prima necessità per la propria famiglia.(Fonte Il Mattino)
Ed ancora: «In Italia si generalizza il concetto di casalese affiliato al clan e quando si va a chiedere un impiego si viene etichettati come dei camorristi nonostante la stragrande maggioranza di queste persone non abbia nulla a che fare con la malavita», dice Cirillo che aggiunge: «Di recente molti lavoratori dell’area dell’agro aversano sono andati a cercare lavoro in Emilia dove è in atto la ricostruzione, ma, nonostante le grandi capacità, sono stati scartati a causa della loro provenienza geografica».
Non ci si stupisca ancora, allora, con finta e bigotta ipocrisia, se in qualche stadio a Sud dei Garigliano qualche fischio si leva alle note dell'inno di Mameli.
Come le aziende meridionali per la costruzione delle strutture dell'Expo, così i lavoratori meridionali per i lavori edili: esclusi e discriminati. In queste condizioni, la lotta alla mafie diventa il risibile tentativo di sedare un senso di colpa, nulla più. Senza lavoro non c'è dignità. Senza dignità, non c'è legalità.