Ieri mattina pioveva qui a Dublino: segno che l’estate è finita, anche quest’anno senza avere avuto mai una vera possibilità di cominciare. La pioggia mattiniera mi mette di buon umore: c’era un che di rassicurante, rilassante, incantante in quelle gocce d’acqua che cadevano fitte, scroscianti, restituendo ossigeno alla terra tinta di marrone e di verde, ma non solo.
Gli acquazzoni dublinesi sono diversi da quelli che pur mi affascinavano in Sardegna. Di quel tempo passato ricordo soprattutto i temporali estivi che, al contrario delle piogge irlandesi, marcavano l’inizio della bella stagione. Era specialmente a giugno inoltrato che in date sere anche piuttosto calde il cielo sopra la Grande Montagna s’oscurava all’improvviso, nubi gravose si radunavano veloci sulle nostre teste prima che la volta celeste fosse illuminata dai lampi e preoccupata dai tuoni. Un boato importante scuoteva il mondo intorno. E l’Essere. Poi la pioggia prendeva a scrosciare… per un poco; a volte trascorrevano solo minuti prima che la volta celeste schiarisse d’incanto e il sole riprendesse a splendere, altre volte il malumore del tempo atmosferico prendeva tutta la notte, ma al mattino il temporale era solo ricordo. Le alluvioni disastrose che in anni recenti hanno sconvolto il territorio in diverse zone dell’isola allora non esistevano così come dovevano ancora venire i molti interventi umani che le hanno procurate.
D’autunno e d’inverno la pioggia cadente, battente, sapeva intessere un concerto straordinario col vento in quel di Sardegna. Col vento e con i rami frondosi di querce antichissime. Un concerto che a momenti diventava canto, nenia dolcissima e ninnananna. Straordinario come date esperienze minime si imprimano nella memoria. In Sardegna più che in altri luoghi come ben si evince leggendo i momenti deleddiani che raccontano del respiro delle case, dei sapori degli angoli abitati, degli istanti di vita, anche meterorologica, che col passare del tempo diventano rito amato e cullato nel ricordo.
La pioggia dublinese manca del guizzo giallo-oro dei lampi che illuminavano le desolate vallate sarde, del bussare imperioso dei tuoni che picchiavano alla porta dell’anima, del fruscio ammaliante del vento che ci addormentava. Come tutte le cose d’Irlanda evita gli eccessi e si mostra più dolce. Si rovescia fitta, concentrata, verticale, indifferente. Ai destini della sua terra e ai nostri destini. Ed è monotona. Continuerà a cadere sempre uguale a se stessa fino alla fine dei tempi nell’attesa del giorno in cui incontrerà il mare. Dentro cui affogare. E perdersi.
Rina Brundu
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