L’analisi della semestrale di Rcs Mediagroup – pubblicata online qualche settimana fa – ci dà la possibilità di tornare a misurare lo “stato di avanzamento” verso gli obiettivi dichiarati dal piano di sviluppo 2012–2015 dal gruppo editoriale. Dei conti di Rcs ci siamo già occupati ampiamente e anche in quella occasione, tra le altre cose, abbiamo confrontato in una infografica i numeri dei bilanci con i traguardi che il piano di sviluppo si pone di raggiungere per la fine di quest’anno.
In particolare ci sembra interessante tornare oggi a guardare gli obiettivi sullo sviluppo del digitale, partendo dai dati del bilancio di giugno (cioè a sei mesi dalla chiusura del triennio 2012–2015) perché è lì che comunque si gioca gran parte delle scelte strategiche per l’immediato futuro.
La crescita del digitale in Rcs
Se guardiamo ai bilanci annuali vediamo come i ricavi da digitale, che nel 2010 erano di 104 milioni di euro (il 4,6% dei ricavi totali), sono effettivamente cresciuti in questi anni arrivando a 161 milioni nel 2014 (il 12,6% del fatturato totale del gruppo). Una crescita del 55% e un “peso” percentuale sui ricavi totali praticamente triplicato. Bene.
Certo ci sono sempre due aspetti importanti da sottolineare quando si evidenziano questo tipo di numeri: il primo è che la crescita dei ricavi da digitale partiva praticamente da zero, un territorio vergine da sviluppare; il secondo è che il peso del digitale aumenta anche grazie alla contemporanea diminuzione dei fatturati totali. Flessione non da poco visto che nel gruppo Rcs i ricavi totali nei medesimi anni presi in considerazione (2010–2014), hanno dovuto registrare un pesante –43%.
Il piano di sviluppo 2013-2015 sullo sviluppo del digitale si pone principalmente due obiettivi da raggiungere a fine di quest’anno: ricavi da digitale a quota 310 milioni e loro peso al 21% sul totale. Nel 2012 i ricavi da digitale erano di 142 milioni di euro e il loro rapporto percentuale con il fatturato del gruppo era del 9%. A fronte di una previsione, da parte del gruppo, di ricavi complessivi relativamente stabili la crescita del digitale avrebbe dovuto, nelle aspettative del piano di sviluppo, controbilanciare quasi del tutto la prevista flessione dei ricavi “classici” come pubblicità e diffusionale derivati dalla carta.
Leggiamo dal comunicato corporate del gruppo di marzo 2013: “I ricavi del Gruppo nel 2015 sono previsti in linea con i ricavi del 2012 escludendo le attività oggetto di dismissione (quindi su una base comparabile di circa 1.500 milioni di euro nel 2012). Tale andamento deriverà dalla forte crescita dei ricavi digitali (incluse le attività televisive) nell’arco del Piano: nel 2012 essi rappresentano circa il 9% del fatturato del Gruppo (pari a 142 milioni), nel 2015 ne rappresenteranno oltre il 21%. La crescita complessiva prevista per i ricavi digitali, pari a circa 170 milioni dal 2012 al 2015, compensa la flessione dei ricavi tradizionali al netto delle differenze di perimetro. Si prevede infatti che i ricavi tradizionali registrino una progressiva contrazione nell’arco del Piano, sia della componente pubblicitaria, sia di quella editoriale”.
Il piano prevedeva quindi, nei tre anni, di raddoppiare i fatturati da digitale e una crescita di quasi due volte e mezzo del suo peso sui ricavi complessivi. Il tutto supportato da investimenti sul digitale di circa 115 milioni di euro. Una crescita decisa non c’è dubbio, ma nemmeno impossibile a fronte di sforzi adeguati (stiamo o no parlando di uno dei maggiori gruppi editoriali europei?).
Le cose stanno andando un po’ diversamente. Almeno leggendo i numeri delle relazioni di bilancio di questi ultimi anni. Ad esempio: se guardiamo alle ultime semestrali vediamo come la crescita dei ricavi dell’online sia decisamente in frenata. È vero, il peso dei ricavi digitali aumenta in questi ultimi tre anni – dall’11,3% al 13,6% – ma la crescita anno su anno del valore del digitale dopo un ottimo +17% nel 2013, si adagia subito su un +9,6% nel 2014 e frena decisamente a + 1,3% nel 2015. La corsa verso gli ambiziosi obiettivi sembra avere già il fiato corto: decisamente non era questo il tasso di crescita atteso.
Se come sostiene la stessa Rcs nel comunicato stampa di presentazione della semestrale 2015 si prevede che i ricavi a fine anno siano “sostanzialmente stabili rispetto al 2014” (che sono stati di 1.279 milioni di euro) il differenziale dei ricavi rispetto ai circa 1.500 milioni previsti dal piano di sviluppo sarà intorno ai 200 milioni. I ricavi da digitale nel primo semestre 2015 sono pari a 81 milioni di euro, ipotizzando un secondo semestre di quest’anno simile al primo i ricavi dovrebbero assestarsi attorno ai 150/160 milioni di euro mentre il piano ne prevedeva 310.
Insomma comunque la giriamo manca quella crescita da digitale prevista che avrebbe, se non del tutto, almeno in gran parte attutito la flessione dei ricavi totali di questi ultimi tre anni (il tutto a meno di strabilianti performance in questi ultimi mesi dell’anno che, ripetiamo, nemmeno in Rcs si attendono).
Considerazioni generali
Il “caso” Rcs non è certo isolato, anzi, decliniamolo a secondo delle dimensioni e degli investimenti e avremo un quadro di quello che accade, se non in tutti, nella stragrande maggioranza dei gruppi editoriali italiani. La soluzione del problema di tradurre concretamente nei fatturati la crescita dell’audience online è un problema che anche molte testate straniere stanno cercando di risolvere, non senza difficoltà. Però vedere oggi la quota di ricavi da attività digitali nei due maggiori gruppi editoriali di quotidiani italiani ancorata al di sotto del 15% (per Rcs, come scritto intorno al 13% mentre il gruppo Espresso si ferma a circa 9%) rende evidente i ritardi accumulati qui da noi.
La tentazione di citare il milione di abbonati da digitale raggiunti recentemente dal New York Times (abbonati, cioè che pagano per i contenuti e che si aggiungono al milione di abbonati carta+digitale) o gli 82 milioni di euro di introiti da digitale, 38% sul totale, del Guardian nel 2015 (che invece non applica nessun tipo di paywall ma ottiene quei risultati grazie anche a decise politiche di community engagement), è forte anche perché non parliamo di ordine di grandezza distanti visto che il NYT, come gruppo, fattura circa il 10% in più di Rcs e il Guardian Media Group quasi tre volte meno.
Ma va bene, rischiamo di fare sempre i soliti esempi. E allora guardiamo alla recente transazione che ha portato il Financial Times al cambio di proprietà per 844 milioni di sterline dove la componente digitale della testata sviluppata con strategie decise ha contribuito in modo fondamentale a quella valutazione così elevata. Il FT ha oggi 750mila lettori paganti, non ne mai avuti così tanti nella sua storia ultracentenaria, due terzi di questi abbonati sono digitali (e non pensate che digitale voglia dire a basso costo, alcuni di loro hanno sottoscritto abbonamenti per 480 dollari l’anno).
Tutto questo per ricordare, ce ne fosse bisogno, che parlare di trasformazione digitale nei giornali non significa solo di cercare di mettere una pezza al declino dei fatturati da carta. Significa dare una svolta ai processi produttivi (anche della carta) per renderli efficienti e al passo con i tempi. Vuol dire dare valore ai propri asset e al valore della testata nel suo complesso. Che cosa aspettiamo?
[tabelle grafici possono essere consultate a questo indirizzo (Google Drive)]