"Una gigantesca corsa alla terra si dispiega su scala planetaria, con ramificazioni e articolazioni difformi che che coinvolgono gruppi e istituzioni fino a poco fa assai distanti dalla semplice idea di dedicarsi all'agricoltura e allo sfruttamento delle terre. I protagonisti non sono solo governi ricchi di liquidità ma preoccupati della crescita dei prezzi dei prodotti agricoli di base(...).Nella corsa alle terre sono ormai entrati mani e piedi anche nuovi protagonisti : fondi speculativi,grandi multinazionali, fondi pensione (...). La terra è un nuovo asset per differenziare il proprio portfolio di investimenti e garantire agli investitori alti ricavi."(pag.99)
Nell'editoriale di "Nigrizia" di gennaio 2012,la rivista mensile dei Comboniani di Verona, ora anche online, si legge invece così di noi, dell'Africa e della "green economy".
"Ma le lobby della green economy- appunta l'articolista - rappresentano per davvero l'esercito della salvezza per l'Africa ? Qualche dubbio sorge. Sopratutto se trasparenza e good governance non saranno gli strumenti quotidiani di gestione del business.L'industria verde è mineraria.Le tecnologie pulite necessitano di beni che si nascondono in grandi quantità nel sottosuolo africano.Il pericolo è che l'economia verde si trasformi, com'é succeso con il petrolio, in una maledizione per le popolazioni locali africane, sfruttate nel lavoro e derubate delle loro terre".
E, sempre nello stesso numero di Nigrizia, a proposito di speculazioni ambientali, del " fallimento " di Durban, di noi e i PVS (paesi in via di sviluppo) e sopratutto di meccanismi di finanziarizzazione dei "crediti di carbonio" ,consentiti per altro dal Protocollo di Kyoto, si può leggere l'struttivo e illuminante (si spera) articolo di Alberto Pierobon.
Scrive Pierobon nel suo articolo :"Succede così che alcune società del Nord comprino od ottengano terre in Africa per piantarvi alberi, con il solo scopo di acquisire certificati di riduzione quanto a crediti di anidrite carbonica(da giocare poi in Borsa), il cui valore avrebbe dovuto crescere man mano che si avvicinava la data-limite del 2012.Per la stessa ragione, da anni è partita la caccia alle discariche africane da gestire per finalità prevalentemente economico-finanziarie piuttosto che ambientali.Operazioni, queste, da valutare con estrema attenzione : sotto l'etichetta di green economy si nasconde una pericolosa finanziarizzazione del settore, con un elevato rischio di bolla speculativa".
E l'autore continua poi , nell'articolo, con tutta una serie di esempi pratici proprio allo scopo di chiarire le idee al lettore "ingenuo" e dirgli, senza peli sulla lingua, che ai nostri giorni si sta trasformando anche l'ecosistema "tout court" in merce da vendere sul mercato.
A questo punto ritengo di aver incuriosito abbastanza gli "amici" e i lettori , anche quelli occasionali, di JAMBO AFRICA, che possono andare tranquillamente ad informarsi alle "fonti"citate.
E questo perché , non una, ma solo più coscienze critiche su fatti e problemi, che ci riguardano molto da vicino, come la vivibilità di noi e degli"altri" sul nostro pianeta, potrebbero in qualche modo fermare questi osceni "safari" in Africa come appropriatamente li chiama Alberto Pierobon e su cui c'invita a riflettere, con acume e intelligenza libera, anche il libro-reportage di Stefano Liberti.
A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)