Realismo è scommessa sulla"grazia" /Note in margine al "Crucifige" di Antonio Palumbo

Creato il 29 marzo 2013 da Marianna06

Ogni luogo nel mondo, anche il più abietto o il più disdicevole, se si accetta la sfida, quella stessa accolta dal primo Abramo, può essere anch’esso luogo d’incontro con Dio.

E non mancano gli esempi se, da un prigioniero di un carcere di massima sicurezza, a Kamiti, estrema e desolante  periferia di Nairobi, in Kenya,  possiamo sentirci dire: ”Qui ho avuto e ho tutto il tempo che una persona può  desiderare per essere vicino a Dio. E questo, messe tra parentesi, con pentimento sincero, le mie passate malefatte, mi ha dato e continua a darmi il coraggio necessario,che mi porta a pensare che anche la prigione possa essere progetto di salvezza per me”.

Il Figlio è nato, infatti, e la promessa di Dio è attuata (Gen 21,1-5).

Tutto ha inizio da qui.

L’artista, Antonio Palumbo, nel suo “Crucifige” tenta di rappresentare , con i propri “ferri del mestiere”, i”crocifissi” del quotidiano.  E ci squaderna, in tutta la  nudità reale e metaforica, quella che è la condizione umana storica.

E lo fa con un realismo plastico straordinario ,che ci consente di riconoscere le ferite “urlate” e “urlanti” di una umanità dolente,  nelle “figure” dei suoi soggetti e interiorizzare al contempo,  grazie all’evidenza del tratto marcato e del colore esangue dei corpi, il dramma del mistero di quel buio fatto di un niente, in cui troppo spesso la vita dell’uomo si avviluppa e si contorce, in apparenza senza scampo, per un inciampo imprevisto e/o imprevedibile.

Ma la “croce” e i “crocifissi”, ossessivamente ripetuti dall’artista, è anche quel mistero, incomprensibile ai più, e il fondamento di un percorso umano e esistenziale ,che  conduce di natura alla ricostruzione della persona (leggi risurrezione).

Quella ricostruzione che è natura in grazia.

Radice ontologica dell’uomo pacificato e del corpo sociale tutto se si riesce ad accettare la presenza di un Dio  che agisce nella storia e non lascia mai soli, per alcuna ragione, i “suoi” figli.

   di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

  


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