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Se per Garrone infatti il gioco di parole terminava con un personaggio non più in grado di distinguere il vero dalla finzione, per l'autore surrealista per antonomasia il termine Realtà è esclusivamente un nome proprio da affibbiare ad una bambina, non più un concetto, e chiamare in questo modo la sua pellicola è solamente una spinta in più per poter prendersi gioco del termine stesso e fare quindi della realtà così come la conosciamo un qualcosa di assolutamente relativo. La trama di "Réalité" infatti è tutt'altro che riassumibile in poche righe, quel che si può dire è che il tentativo di Dupieux è probabilmente quello di miscelare insieme reale, surreale, sogno, finzione senza perdere di vista anche conscio, subconscio e mistero. Quel che ne deriva è un oggetto di difficile comprensione ma che tuttavia se preso in mano e scrutato diventa impossibile da mettere apposto, non potendo più fare a meno di giocare.
Anche per cercare di trovarne alla fine un senso logico (che comunque non c'è).
La verità è che il cinema di Dupieux è molto simile all'innocenza di un bambino, ad un passatempo che non deve per forza avere scopo se non quello di saper intrattenere, divertire e stravolgere per continui paradossi. In cui magari a fornire lo spunto non è una vera e propria trama ma più che altro un'idea stramba, un dubbio, un enigma, e dove in seguito, lo sviluppo (che sia di uno o dei vari elementi), dia luogo a situazioni improvvisate, assurde e per niente volute. Proprio come in "Réalité" accade per l'operatore di macchina, aspirante regista, che si danna l'anima per trovare il gemito da Oscar chiesto dal suo produttore che altrimenti non gli darà i fondi per la realizzazione del suo film dell'orrore, oppure alla bambina che vede il padre impegnato a togliere le viscere da un animale selvatico da cui fuoriesce anche una strana videocassetta blu. Tutti lampi eccentrici che non devono per forza essere potenziati al massimo del loro volume o, ancora, miscelati obbligatoriamente tra loro per dare vita a qualcosa di sensazionale, poiché questo fa parte di un effetto collaterale che può verificarsi come anche no, considerato che nella visione visionaria di Dupieux a contare non è tanto il risultato finale quanto la composizione che va a precederlo.
Sebbene "Réalité" allora non sia il miglior lavoro realizzato dal regista è da apprezzare se non altro per la testardaggine con cui porta avanti un concetto di cinema piuttosto unico, con cui non è mai stancante fare i conti e con cui c'è sempre la volontà di lasciarsi stupire, ridere e cervellarsi.
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