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Il Matteo Garrone post-Gomorra rimane aggrappato alla Napoli disagiata e meno fortunata inseguendo questa volta le vicende di una famiglia trascinata nel baratro da un padre, e un marito, ossessionato e consumato dal suo stesso sogno: svoltare con l’aiuto della televisione. "Reality" sfrutta così il marchio del Grande Fratello per focalizzare il suo sguardo sul desiderio della scalata al successo dell'italiano medio di oggi, disposto a qualsiasi cosa pur di conquistarsi una scorciatoia e risolvere la crisi e i problemi nella maniera apparentemente più semplice possibile. La pellicola di Garrone affronta pertanto tematiche legate alla povertà e alla ricchezza, all'essere e all'apparire e alla distinzione tra sogno e realtà, ma imprime il massimo della sua forza con la mostruosa interpretazione fornita dal suo attore protagonista.
La parabola di Luciano, pescivendolo che si arrabatta in svariati modi per sbarcare il lunario e poi, casualmente, finisce per accarezzare la visione della popolarità televisiva, infetta lentamente l'impronta fiabesca che la storia aveva stampato in apertura. La sua crescente pazzia trasforma "Reality" in un film horror, e trasferisce allo spettatore quel senso di inquietudine e incredulità tale da farlo sentire a disagio e turbato ogni qual volta è costretto ad assistere all'ennesima e insana esibizione del suo mattatore. Aniello Arena convince perpetuamente nelle vesti del suo personaggio e si fa vitale ai fini di una messa in scena in cui era indispensabile stabilire un impatto più documentaristico che di finzione.
Su questo concetto assume un ruolo basilare la regia di Matteo Garrone, risorsa insostituibile della pellicola. La modalità con cui il regista romano sceglie di raccontare lo sviluppo del contagio nella testa di Luciano è livellato in perfetta simbiosi con l’andamento della storia. Utilizzando prima inquadrature più distaccate e poi stringendo sempre di più fino a diventare invasivo nel momento in cui la situazione raggiunge il baratro massimo di squilibrio, Garrone riesce ad inviare allo spettatore la stessa sensazione di soggezione che gradualmente va ad avvolgere la sua povera vittima, il tutto con un lavoro minuzioso fatto di grandissima tecnica cinematografica.
E’ indubbio che "Reality" sia chiaramente un paradosso, un ingrandimento eccessivo e fine a sé stesso di ciò che è diventato al nostro tempo il bisogno di volere apparire, ormai sostanzialmente simile a un urgenza. Eppure Garrone è capace di esaltare il tutto con un uso della camera a dir poco impeccabile, scavando a fondo nelle nostre corde e seminando senza troppa fatica ma solo con ammirabile bravura il terrore e il panico fin dentro i nostri stomaci. In definitiva, la visione di "Reality" non lascia affatto indifferenti e la sensazione che in altre mani l'effetto sarebbe stato assai diverso è abbastanza limpida.
Trailer:
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