avv. Eugenio Gargiulo
Perfino colui che si faccia giustizia da sé rischia la condanna per “stalking”. Lo ha recentemente affermato una sentenza della Cassazione . La Suprema Corte ha evidenziato che la condanna per stalking (art. 612 bis cod. pen.) non colpisce soltanto chi è legato alla persona molestata da “vincoli affettivi” ma anche chi rende impossibile la vita degli altri per motivi che nulla hanno a che fare con un rapporto affettivo. Il reato in questione, infatti, non indica quale debba essere la natura e la qualità della parte lesa.
In aggiunta, non sono previste attenuanti nemmeno se la persecuzione è messa in atto per reagire a un eventuale comportamento illegittimo. Per questo è stato convalidato il divieto di avvicinamento alle persone offese nei confronti di un sessantenne di Sassari che per reagire, a detta della difesa, ad abusive attività di cava su un’area soggetta a vincolo ambientale aveva deciso di farsi giustizia da sé, assillando con tutti i mezzi – dagli sms ai pedinamenti, dalle migliaia di telefonate ai passaggi sotto casa e il luogo di lavoro – un gruppo di persone che lavoravano alla cava presa di mira.
L’eventuale illegittimità dell’operato delle persone non può giustificare l’adozione di comportamenti esasperatamente assillanti e invasivi dell’altrui vita privata e dell’altrui tranquillità, quali quelli posti in essere dall’indagato. Insomma, lo stillicidio persecutorio, se determina uno squilibrio psicologico nelle persone offese, costringendole a mutare le loro abitudini di vita, è sempre vietato, né scusato con attenuanti, anche se posto in essere per farsi giustizia da sé. ( in tal senso Cass. sent. n. 37448 del 10.09.14).
Il comportamento “persecutorio” – sottolinea la Cassazione – va valutato anche nella sua articolazione complessiva, sicché comportamenti che in sé potrebbero non essere punibili si presentano, comunque, rilevanti al fine di integrare il reato di minacce (art. 612 cod. pen.)
Foggia , 11 settembre 2014 avv. Eugenio Gargiulo