Rebecca e le Janas: Fiabe Mode on

Creato il 18 aprile 2013 da Kalaris @EssereFreelance

Perché in futuro il nostro passato non venga dimenticato.

Emma era una bella ragazza, grassoccia e dalle guance rubiconde. Il suo sorriso faceva simpatia fin dal primo sguardo e i capelli neri come il carbone lei li portava sempre legati, tanto che suo marito non avrebbe saputo dire quanto fossero lunghi.

La nostra storia inizia in un giorno di primavera: Emma nel suo vestito color del cielo passeggiava lungo un piccolo sentiero che divideva in due il piccolo bosco a pochi passi dalla sua casa. La ragazza amava passeggiare ma soprattutto amava raccogliere tutto quello che il suo boschetto le offriva e questa era la stagione degli asparagi sicché la donnicciola piccola e paffuta avanzava con nel braccio un cestino intrecciato grazie al giunco locale, con in testa un fazzoletto colorato e con il suo bel pancione: entro qualche mese avrebbe partorito il suo primo bambino e benché il marito desiderasse con tutto il cuore un maschietto, lei in segreto pregava ogni notte per una femminuccia.

Da qualche mese s’era presa l’abitudine di cantare una piccola filastrocca per il suo bambino che non appena sentiva le prime note di quella bella melodia iniziava a muoversi, confermando alla mamma la sua vitalità. Cantava anche quella mattina quando improvvisamente fra un rovo di more in fiore e qualche papavero rosso come le ciliegie, vide un luccichio prezioso. Curiosa era curiosa Emma, e nonostante il suo bel pancione si fece strada fra la fitta vegetazione che profumava di Maria Luisa. A pochi passi dal sentiero che era solita percorrere quasi tutte le mattine, si trovava un bellissimo pettinino femminile, tutto in oro e delicatamente impreziosito da decori in filigrana simili a quelli che lei aveva visto, da bambina, sui gioielli della nonna.

Era stata proprio la nonna a dirle che in quel bel boschetto un tempo vivevano le janas: erano piccole fate ricchissime ma un po’ sbadate, che non di rado lasciavano trovare ai più fortunati preziosi tesori, e quello che ora aveva in mano era un vero e proprio tesoro che avrebbe potuto cambiare la vita sua e di Mario, il marito.

Ma Emma era buona e onesta e dopo aver guardato con desiderio quell’oggetto, si decise a restituirlo alla legittima proprietaria. Trovare le janas non era cosa tanto facile, ma lei sapeva dove dormivano e dove mangiavano: la nonna quando era bambina non si stancava mai di raccontarglielo. Lei le janas le aveva incontrate alla sorgente di Domu Pedra, poco distante dalla piccola grotta dove i ragazzini giocavano a nascondino.

Raggiunse il posto in meno di un ora, ma alla sorgente non trovò nessuno: sbirciò a destra e manca e chiamò qualche volta il nome di quella jana che la nonna le aveva raccontato d’aver conosciuto: “Chirriga, Chirriga ci sei?”. Aspettò qualche minuto, d’altronde era quasi ora di pranzo e probabilmente le janas stavano preparando per il pasto.

Quando le speranze erano quasi del tutto perse, la ragazza da dietro un grosso masso vide sbucare due occhioni color della notte, limpidi e severi: “Chi è che cerca Chirriga?”.

“Sono io che la cerco, mi chiamo Emma e ho qualcosa che forse le appartiene” disse timidamente la ragazza che dalla cesta tirò fuori il pettinino luccicante.

“E’ la nipote di Rubina”, sentì vociferare poco distante da sé, “Sì, sì, ha gli stessi occhi” disse un’altra. In pochi minuti Emma sentì concentrati su di sé gli sguardi di moltissime janas che a dirla tutta erano appena più piccole di lei.

La prima che le aveva parlato con un bel salto, agile e scattante le si avvicinò senza paura: aveva un mestolo di legno in mano, un fazzoletto sulla testa rosso come un rubino, una camiciola bianca tutta ricamata, un corpetto di broccato, una bella e ampia gonna rossa e due bottoni d’oro e carniola che luccicavano proprio sotto il suo seno abbondante. La pelle sembrava scintillasse all’ombra delle alte querce e le labbra della fatina, fini e pallide, sembrava non volessero sorriderle.

Ma non lo sai che quel che le janas regalano non si restituisce mai?”

“Questo oggetto io l’ho trovato, non mi è stato regalato. Per questo ho deciso di restituirlo”. La donna era palesemente a disagio quando improvvisamente la jana la invitò a condividere il pranzo con loro. Emma non se lo fece ripetere due volte: aveva fame per due e il marito sarebbe tornato solo a sera inoltrata; inoltre dalla caverna fuoriusciva un buon profumo di brodo e bollito e lei non mangiava carne da molti giorni oramai.

La caverna sembrava una casa con tanto di porticina e finestrelle, piccola ma comoda: al centro c’era un bel fuoco e tutto intorno sedute tante piccole janas con sul grembo una ciotola colma di brodo. Le diedero tutte un caloroso benvenuto, chi raccontandole di molti anni prima, quando la nonna di Emma aveva incontrato Chirriga, chi accarezzandole il pancione, chi offrendole qualche frittella. Emma mangiò tanto che sentì presto la necessità di fare un bel pisolino: Chirriga, la fata che l’aveva accolta le mise una coperta sulle spalle e le disse che si sarebbero riviste per la nascita della bambina.

Quando si svegliò era pomeriggio inoltrato e delle janas non c’era più alcuna traccia. Sembrava anzi che quel posto fosse disabitato da anni: del fuoco c’era solo una traccia stantia e di quelle pietre poste intorno al focolare che poche ore prima erano state sedie, c’era solo il segno nel terreno: ora si trovavano ammassate qua e la contro le pareti della caverna buia e umida.

Emma sgattaiolò fuori, sicura d’aver sognato quell’incontro: il pettinino lo aveva ancora nella tasca del grembiule, ma lo stomaco pieno e soddisfatto, non brontolava come avrebbe fatto se tenuto a digiuno. In verità non ebbe troppo tempo per pensare: doveva rientrare a casa, preparare la cena e aspettare il ritorno di Mario.

Continua…

Photo Credit: http://www.inspirefirst.com/2012/10/25/childrens-illustration-2/

Pubblicato il 18 aprile 2013 by Kalaris in Contusu, Sardegna

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