Magazine Cinema

Recensione. 300, L’ALBA DI UN IMPERO non è all’altezza dell’originale

Creato il 09 marzo 2014 da Luigilocatelli

300 RISE OF AN EMPIRE

R2_V10B17_80213_CO3_PULLS_01rl_0009.tiff
R5_V10C13_80213_CO3_PULLS_01rl_0022
300, l’alba di un impero, un film di Noam Murro. In 3D. Dal graphic novel Xerses di Frank Miller. Con Sullivan Stapleton, Eva Green, Lena Headey, Hans Matheson, Rodrigo Santoro.
R1_V10D3_80613_CO3_PULLS_01rl_0018
Non un sequel di 300, ma l’allargamento della narrazione all’intera guerra che nel 480 a.C. oppose i greci agli invasori persiani. Fino alla decisiva battaglia navale a Salamina. Purtroppo il 3D rovina quell’effetto bidimesnionale, da graphic novel (o da bassorilievo classico), che era la meraviglia stilistica del film precedente di Zack Snydrr (che qui non è più alla regia). Eva Greeen come feroce guerriera persiana è magnifica, portandosi sulle spalle il peso del film. Ma non basta a farlo decollare. Mentre l’eroe, l’ateniese Temistocle, è uno spento attore di nome Sullivan Stapleton che fa parecchio rimpiangere Gerald Butler. Voto 5+.
R6_V10K3_81313_CO3_PULLS_01rl_0039.tif

Arriva, questo L’alba di un impero, a parecchi anni di distanza da quel meraviglioso 300 che, tratto da un graphic novel di Frank Miller, ricostruiva, mitologizzando ed epicizzando e pure feticizzando i protagonisti e i loro corpi, la battaglia che aveva opposto nel 480 avanti Ctisto i persiani invasori capitanati dal re-dio Serse a un manipolo di spartani guidati da Leonida. Un film non solo di enorme successo al box office, ma che, insieme al, e poco dopo il, Gladiatore di Ridley Scott, ha rifondato e ridato vigore al peplum, uno dei generi che hanno fatto il cinema fin dalle origini. Con una regia di Zack Snyder che sconfinava nell’autorialità, soprattutto per il segno – fortissimo – impresso alle immagini, per la capacità di riprodurre visivamente e con effetto quasi bidimensionale le tavole piatte di una graphic novel mediante ricorso al (mi pare) Croma key onde togliere profondità alle inquadrature e come levigare, marmorizzare i già muscolari corpi del manipolo spartano. Ne risultava una sontuosità visuale come poche volte, una stilizzazione estrema e ipnotica, e un film a modo suo esemplare e destinato a farda spartiacque a certo cinema di genere. Con simili premesse, tanto, tantissimo mi aspettavo da questo sequel-non sequel (tra poco spiego) 300, l’alba di un impero. Invece, pur riconoscendo la presa spettacolare di molte sequenze e la bellezza masssima di alcune folgoranti immagini, devo dire che son rimasto alquanto deluso. Già la scomparsa dalla regia di Zack Snyder (presente però tra i produttori), sostituito dall’isareliano Noam Murro, mi aveva suscitato non poche perplessità sulla qualità dell’operazione. Perplessità confermate in pieno alla visione. L’errore più clamoroso è stato di introdurre il 3D, il quale accentua la profondità dell’immagine togliendo il fascino della bidimensionalità da pagina disegnata dell’originale, e francamente non capisco una decisione tanto demenziale (se non per ragioni d’incasso, visto che i biglietti 3D costano di più). Se 300 ci aveva tutti soggiogati per quella peculiare scelta, più che tecnica, di stile, L’alba di un impero non ce la fa a replicare tanta carica suggestiva. Qui siamo a un quasi-normalizzato fantasy-peplum, con anche buoni momenti s’intende, ma irrimediabilmente più simile ai vari Clash of Titans che all’epico suo predecessore sulle Termopili. Più che configurarsi come sequel, L’alba di un impero ingloba l’episodio delle Termopili con l’eroe Leonida, e lo inserisce in un affresco più largo sulla seconda guerra che oppose i Greci ai Persiani invasori nell’anno 480 avanti Cristo, che nella battaglia delle Termopili ebbe sì una fase fondamentale, ma che sarebbe culminata più tardi nella decisiva battaglia navale di Salamina. Come se dal primo al secondo film si fosse ampliato e spostato il punto di vista, tant’è che la marcia dei trecento spartani verso la gola fatale viene ripresa e citata con qualche spezzone del film precedente (e si rivede Gerald Butler) e incastonata come un frammento nell’insieme della narrazione. Stavolta l’eroe greco è l’ateniese Temistocle, che dieci anni prima aveva guidato la resistenza greca contro il primo tentativo di invasione persiana, e che con una freccia aveva ucciso il nemico re Dario. Adesso se la deve vedere con il figlio di Dario, Serse, uomo che si è fatto dio in terra, deciso a vendicare il padre ucciso e a sottomettere le città-stato greche. Non è lui (un Rodrigo Santoro idolizzato a statua vivente) a guidare le truppe, ma Artemisia, donna di ferro, implacabile con i suoi soldati fino alla ferocia, una vera macchina da guerra cui nessuno ha mai resistito. Artemisia nasce greca, ma da quando ha visto la famiglia stuprata e uccisa da un manipolo di opliti ellenici comincia a coltivare la sua vendetta verso la madre-matrigna patria. Dopo anni di schiavitù, anche sessuale, verrà soccorrsa da un persiano che la porterà della corte e le insegnerà l’arte del combattimento e della guerra. Per lei, donna combattente come nessuna mai, salire le scale del potere sarà facile, arrivando a diventare il generale più fidato di re Dario e, dopo la sua morte, la consigliera rasputineggiante e manipolatrice di Serse. Che lei relega al ruolo di simbolo e di totem, riservando a sè l’esercizio del potere vero e la guerra. Quando nel 480 si riaccende il conflitto con i greci, sarà lei a opporsi, alla testa di una imponente flotta, a Temistocle. La linearità assai efficace del primo 300, con la sua chiara divisione, anche visuale, tra i rudi spartani e i Persiani bardati come idoli sanguinari e viziosi sui loro elefanti decorati, e con la progressiva marcia di avvicinamento alla battaglia, qui si perde completamente. Passando dal singolo episodio alla guerra nella sua totalità, l’azione si sfrangia in una molteplicità di scene (e di teatri di guerra) ridondanti e spesso confuse. Essendogli impedita dal 3D quella bidimensionalità da graphic novel, ma anche da bassorilievo classico (penso, per dire, al colossale fregio del Pergmano Museum di Berlino), che era dell’originale, il regista Noam Murro punta su un’altra strategia narrativa e visuale, alternanza anche freneticamente dettagli – gli zoccoli dei cavalli, le parti del corpo maciullate, troncate, zampillanti sangue – e inquadrature larghe, a cogliere scontri e battaglie di terra e di mare. Immergendo il tutto in un blu più nero che elettrico. Non male, ma non basta a far decollare davvero il film, che ha il suo punto di fragilità nella pretesa, stavolta, di troppo dire e troppo raccontare i personaggi, scavando (ahinoi!) nella loro psicologia. Se il personaggio di Artemisia riesce abbastanza – anche grazie alla formidabile interpretazione di Eva Green, vera dark lady dall’anima vulnerata -, a emergere e a farsi credibile, non altrettanto si può dire del suo antagonista Temistocle, figurina senza spessore. Balorda l’idea di cortocircuitare i loro destini, facendoli incontrare e facendoli diventare amanti per una notte, in un odio-e-amo tra nemici palesemente assurdo e inverosimile. Ambiguità certro a noi contemporanea, ma che in questo contesto narrativo risulta goffa e inprobabile. Con, oltretutto, la più imbarazzante scena d’amore che si sia visto da molto tempo in qua, lei che attira a sè e insieme maltratta e insulta il malcapitato Temistocle offrendogli scatenata lato a e lato b, salvo poi rinfacciargli la sua inefficienza sessuale (e già la povera Eva Green era rimasta coinvolta in un’altra tremenda scena di sesso con Johnny Depp vampiro in Dark Shadows). Finirà come ha da finire, e come la storia ci ha detto, nella battaglia navale di Salamina a fine 480 avanti Cristo in cui Temistocle e i suoi greci ce la faranno a sconfiggere la straripante supremazia navale di Artemisia e dei persiani. Una sequenza ad alto tasso di spettacolarità che non basta però a riscattare un film, nel suo fondo, mancato. Non aiuta nemmeno l’australiano Sullivan Stapleton come Temistocle, che non solo fa rimpiangere il Leonida di Gerald Butler, ma sembra, con quell’aria saggia e perbene, perennemente fuori posto, e che esibisce i suoi pettorali e la sua tartaruga con la diligenza del bravo ragazzo che tanto si è impegnato in plaestra. Di quei tipi che anche se li vedi in un campo nudista ti sembrano sempre in giacca e cravatta. E per questo sequel-non sequel di 300 un eroe così è un bel peso. Sicché non basta la strepitosa Eva Green, che si porta il film sulle spalle e ne costituisce il centro, a ovviare ai tanti, troppi difetti. Ah sì: L’alba di un impero è tratto dalla graphic novel Xerses, autore ovviamente Frank Miller, ancora inedita,  e intanto Mondadori ha ristampato in Italia il suo classico 300.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :