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Il fascino del passato
Ci risiamo: un urban fantasy che ha come protagonista una diciassettenne.
Ma la ragazza in questione, Redlie, è un peperino che non si fa mettere i piedi in testa da nessuno; ha imparato a badare a se stessa fin da bambina perché la madre Alessandra non si è mai preoccupata dei bisogni della piccola (inclusi quelli primari, come il cibo) abbandonandola spesso per giorni senza nemmeno avvisarla che usciva di casa. Il padre scozzese, invece, Redlie non l'ha mai conosciuto; non sa nemmeno come si chiama.
Ci risiamo, ancora: un bel giorno arriva una tutrice che preleva la protagonista e la porta con sé in una nuova realtà; per la precisione, dall'Italia a Londra.
Ma zia Daisy è un tipetto particolare, giovane e pazzerello, che lavora in un'erboristeria dove prepara intrugli dall'aspetto magico, e spesso organizza feste in casa colme d'invitati che si trattengono fino al giorno dopo; si tratta d'individui che sembrano nascondere qualcosa di sovrumano, compresi i quattro ragazzi con cui Redlie fa amicizia, ossia Tim (detto "Honey"), Lucas, Tree e Anthony.
L'intero gruppo (ossia un clan di esseri particolari) vede che la protagonista ha qualcosa di speciale che sfugge a lei stessa; eccola là, la dote dell'umile (e non dell'eroe).
Ma di cosa si tratta, nello specifico? Ha a che fare con le visioni che le giungono inaspettate e le scene che sembrano provenire da un passato remoto? Spesso Redlie pensa: "sono ciò che sono", ma in realtà non ha piena coscienza di sé. Uno dei grandi misteri in questa storia è infatti proprio quello, per Redlie, di scoprire la sua vera natura e i poteri ad essa connessi.
Nel frattempo, la protagonista instaura un legame stretto con i quattro ragazzi e soprattutto col dolce e sensibile Honey, tuttavia s'innamora del belloccio di turno e del suo fascino oscuro; insomma, il tipico bello, dannato e irraggiungibile.
Ma Sean non è un vampiro. Cos'è lui realmente è un altro dei misteri che Redlie deve risolvere, e mai e poi mai mi sarei aspettata un mix del genere! Certo, mi ha lasciato perplessa la facilità con cui la ragazza intuisce la verità, ma prima di puntare il dito contro l'autrice bisogna leggere il romanzo fino alla fine e vedere che ogni cosa ha il suo perché.
In quest'introduzione ho giocato con i cliché del genere per portare attenzione su questo principio: è normale che un fantasy (in questo caso, urban) abbia delle basi in comune con altre storie della sua stessa impronta, tuttavia in "436" queste basi sono dei semplici punti di partenza da subito proiettati verso sviluppi originali.
L'inizio del libro è uno dei migliori incipit che abbia mai letto: diretto, chiaro. Ha un ritmo in crescendo, in linea con la protagonista che narra dalla sua infanzia, l'adolescenza, fino ai suoi diciassette anni. Abbiamo il background della protagonista perfettamente delineato; cosa volere di più? Nonostante non sia nuovo il tema infelice di una madre che non si cura della figlia, Redlie ci racconta in prima persona il suo vissuto con un linguaggio accattivante, che ha personalità, ed è capace di creare subito un legame con il lettore; da una parte curioso di conoscere come e se si evolverà il rapporto con la madre, dall'altra perché sensibilizzato.
Arriva zia Daisy, poi l'inizio di una nuova vita a Londra con un gruppo di amici speciali: se pensiamo che gli inglesi siano freddi, è qui che invece Redlie trova il calore della famiglia. Si nota subito come il nuovo ambiente domestico si contrapponga alla solitaria esistenza che la ragazza svolgeva in Italia: il vivere tutti insieme sotto lo stesso tetto, lo "spreco" di vezzeggiativi tipicamente inglesi quali "darling", la coccola dell'ora del tè, i continui contatti fisici tra abbracci consolatori, baci casti e strette di mano protettive; la nuova famiglia di Redlie "straripa" d'amore per lei, lei che per diciassette anni non si è mai sentita amata. All'inizio fa un certo effetto vedere tutte queste smancerie, ma come tutte le cose occorre farci l'abitudine: è un modo di vivere la vita che dovremmo invidiare, altroché!
Poi arriva Sean, e quasi contemporaneamente, l'antagonista David.
La mia lettura procedeva interessata finché non sono partite dichiarazioni d'amore un po' troppo aperte per due persone che si conoscono da così poco tempo, tuttavia ho cercato di non darci peso e ho proseguito: incredibile, ciò che mi era parso come "storto" ha un suo perché, ancora!
Prima di arrivarci, però, la parte centrale l'ho sentita sottotono, principalmente perché gli sviluppi tardano a manifestarsi; è come se assistessimo alla vita di Redlie di tutti i giorni; non ci si accorge che delle piccole evoluzioni scorrono, intanto, sotto i nostri occhi.
Le rivelazioni appaiono solo alla fine del libro.
L'autrice è abile a mantenere il segreto così a lungo, ma questa caratteristica può essere un'arma a doppio taglio per chi, come me, a un certo punto ha bisogno come l'aria di avere delle risposte. Persino il titolo, "436", svela il suo significato solo alla fine; ma proprio alla fine-fine!
C'è dell'altro: a lettura ultimata non tutto viene perfettamente chiarito in ogni suo punto. Mi sarebbe piaciuto, ad esempio, capirne di più a proposito di Epiphany e Breathless... forse un'ulteriore lettura potrebbe fare più luce sulla vicenda, altrimenti gli approfondimenti potrebbero esserci nel seguito "Thunder + Lightning"; chissà.
Tornando alla parte centrale del romanzo, personalmente ho ricominciato a provare interesse dall'apparizione di James. Ad emozionarmi, infatti, non è stata tanto la storia d'amore tra Redlie e Sean (pur trattandosi di un amore romantico dove ho però trovato un eccesso di battibecchi - non è che a provocarli è la mentalità della donna moderna? ^.^), bensì il rapporto della ragazza col padre. Ogni loro piccolo gesto mi ha trasmesso emozione: l'imbarazzo dell'incontro e il non sapere cosa aspettarsi, la sorpresa di un primo accenno d'affetto, quel vezzeggiativo, quel comportamento eccessivo tipicamente paterno, gli scontri tra due mentalità (e personalità);è questa la parte del romanzo che mi è entrata nel cuore. Mi è piaciuto anche il concetto che si rimarca all'inizio del romanzo, ossia "il non dare un nome alle cose"; toccante.
Un altro aspetto del libro che ho apprezzato è il particolare dell'allenamento: Redlie avrà pure una capacità innata, ma deve imparare a gestirla, affinarla; finalmente un'eroina che suda e si allena duramente! Diventa un bell'esempio di tenacia, oltretutto.
Più in generale, inoltre, mi sono piaciuti i sipari che riguardano il passato e/o le visioni: ho un debole per queste cose.
Mi ha invece lasciata indifferente l'antagonista David: è un cattivo un po' sciatto, acerbo. Non ho percepito la sua malvagità, né mi ha dato tensione se non nella scena riguardante gli amici di Redlie. Pensavo che David avrebbe dato il meglio di sé (ossia il peggio) nella scena finale, ma a conti fatti la sua presenza è superficiale anche ai fini della storia: Redlie e Sean monopolizzano l'evento chiave.
Per finire, un accenno alle caratteristiche "tecniche" del romanzo: prima o poi mi abituerò alla scelta della Casini di non numerare le pagine, ma qui emerge più che altro l'esigenza di una traduzione a pié pagina per le frasi in inglese; alcune le ho capite, ma per altre si è resa necessaria una consultazione esterna, e non avrei voluto staccarmi dalla lettura!
Rileggerei questo libro volentieri, intanto, per chi ancora non lo avesse letto, lascio il Booklet con le prime pagine del romanzo, preso direttamente dal Promo Center della Casini Editore: buona lettura!
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