Ma
io non ho la testa per fare certe cose. Ci vorrebbe forza di volontà,
ci vorrebbe un motivo vero. Ci vorrebbe che fossi un po' più come
lei e un po' meno come me. Titolo:
AlfredoAutrice:
Valentina D'UrbanoEditore:
TEA – I GrandiPrezzo:
€ 10,00Sinossi:
Alla
Fortezza – il quartiere senza identità, con l'asfalto riarso dal
sole e spaccato dal gelo, e i palazzi dall'intonaco ruvido e
sbrecciato – tutti li chiamano «i gemelli». Perché da sempre
Beatrice e Alfredo sono inseparabili, come fratelli appunto. O forse
qualcosa di più? La loro storia, struggente e tragica, diventerà
quasi una leggenda nel quartiere. Ma a narrarla finora è stata
soltanto Bea, la metà più forte dei «gemelli», la ragazza cui
bastava sentire l'odore di Alfredo sulla maglietta verde che lei
stessa gli aveva regalato per sapere che lui ci sarebbe sempre stato.
La giovane donna che ha lottato fino alla fine per sentire il rumore,
inconfondibile, dei suoi passi. Questa invece è la storia della metà
più debole dei «gemelli» e a raccontare l'arrivo alla Fortezza è
Alfredo, in prima persona, con la sua voce, le sue fragilità, i suoi
piccoli e grandi sogni così difficili da realizzare e così facili
da infrangere. Fino all'incontro che gli cambierà la vita: quello
con Beatrice. La recensioneAl
ginnasio, ho scoperto che tradurre mi piaceva. Soprattutto, tradurre
dal greco. Prendere un testo incomprensibile, scritto, per di più,
in un alfabeto diverso dal nostro, e restituirlo lentamente
all'italiano - ricercando prima il verbo, poi il soggetto, senza
dimenticare l'importanza delle congiunzioni - era un gioco a premi;
decodificare un mistero da cui dipendeva un po' la sufficienza in
pagella, un po' la salvezza dell'universo, come fosse un'avventura
fantastica. Il fatto che mi piacesse, però, non vuol dire che lo
trovassi facile. Era bastata una versione fatta così così, un
cinque scarso, per farmi titubare. Avevo riconosciuto regole e
costrutti, quella volta, e scelto i termini appropriati. Ma cosa
significasse quel testo boh, chi lo sapeva. La versione che non
afferravo era un mito di Platone, che poi avrei finalmente compreso
nell'ora di filosofia. Nella notte dei tempi, c'erano non due, ma tre
generi – il maschio, la femmina, l'androgino – e l'essere umano
era una sfera, con quattro braccia, quattro gambe, quattro occhi e
due sessi. Rotondo, si muoveva saltellando goffamente, e saltellando
goffamente aveva puntato al monte Olimpo. Zeus, temendo che qualcuno
osasse usurparlo e non potendo condannare l'umanità tutta
all'estinzione, aveva scagliato uno dei suoi fulmini contro quest'uomo a forma di mela. I figli del Sole e della Luna, adesso
soli, privi dell'altra metà, erano destinati, in vita,
a cercare il compagno da cui erano stati separati, un giorno, per
vendetta. Come parafrasare a un quattordicenne il senso dell'amore?
Alla Fortezza, Platone non si conosce. Ci si ferma alla quinta
elementare, in quel quartiere sotto assedio di palazzoni abusivi, ma
c'è la strada che insegna e non fa sconti. In Quella vita che ci
manca però –
terzo romanzo che era stato un ritorno a casa – si raccontava un
altro mito. Quello dei Gemelli, Alfredo e Beatrice: sempre insieme,
ma sempre divisi. Gli sfortunati amanti che avevano imparato ad
amarsi in ritardo, dopo un'infanzia insieme che aveva saputo renderli
fratelli siamesi. Eppure erano opposti: lui biondo, lei mora; lui
fragile, lei forte. Ma l'amore, anche se per poco, aveva
fatto sì che, nello stesso letto, tornassero a comporre il loro
legame simbiotico. Abbracciati stretti, allora, come lo sono i
gemelli nelle ecografie. Si erano conosciuti da bambini, con Alfredo
che – pestato a sangue dal padre alcolista – agonizzava sul
ballatoio del condominio, il viso una maschera rossa, e la piccola Beatrice, allora, aveva preso a piangere al posto suo. Come quando tu ti
sbucci un ginocchio, in bici, e il tuo migliore amico piange per te.
Cosa c'è stato prima, cosa durante? Valentina D'Urbano – la stessa
che troverete nella lista dedicata ai libri più belli letti durante
l'anno, con il suo intenso e affascinante Acquanera
– guarda al suo
esordio e ritorna sui propri passi; quelli che, in
definitiva, fanno ancora rumore. Ne sentite, in sottofondo, l'eco? E
se c'è una cosa che tanto, tanto mi piace di lei – che, da quel
che Facebook mi dice, lavora su un nuovo romanzo che la prosciuga e
che non vedo l'ora di leggere – è che, con quella prosa spigolosa,
ruvida, irregolare come gli edifici dei suoi quartieri, si affezioni
sempre smisuratamente ai suoi personaggi. Ironico, perché non si
direbbe, sapendola spesso spietata. Sbagliato, perché non si
potrebbe, da quel che i maestri, almeno, suggeriscono: uno scrittore, pare,
non dovrebbe innamorarsi delle sue creazioni; ma come fa? Il bello de Il
rumore dei tuoi passi, opera
prima che torna e ritorna, in seguiti o semplici dèjà vu, è che
invece non l'ha mai abbandonata. In questo nuovo romanzo, un
esperimento che è diventato altro, ampliazione di un racconto breve,
il mito dei Gemelli rivive, ma raccontato non da Beatrice, né dai
fratelli Smeraldo, testimoni indiretti: a parlare è il ragazzo alto e secco che indossava
i maglioni a maniche lunghe d'estate, lo spettro a cui andavano le
preghiere e i girasoli. Nel capitolo iniziale, una scena che sembra
d'altri mondi. Ho pensato ai bambini africani che giocano nel fango,
tra le sterpaglie, con la pancia gonfia d'aria, le mosche che
tutt'intorno ronzano e le madri che muoiono di setticemia. Come in una pubblicità
progresso in cui il personaggio famoso di turno ti chiede di donare,
di salvarli. Ma Alfredo e i suoi fratelli – Massimiliano e Andrea –
sono bianchi, biondissimi, e nessuno ha cura di loro. Quel fiume
sporco, forse, è un tratto del Tevere che si usava a mo' di
discarica e il loro Terzo Mondo è la zona cieca di una città che, negli anni settanta, ha
confini di fuoco ma non regole. Successivamente, il trasferimento
alla Fortezza e l'adolescenza che coglie di sorpresa, facendoci
scoprire troppo grande per fare il bagno nella stessa vasca di quella
bambina che ci fa dannare l'anima. Infine, il dopo: il
vortice della dipendenza, i buchi dell'eroina, la pena eterna.
In quell'epilogo già scritto, che non per questo emoziona di meno,
l'inevitabile accade; ma saremo ancora certi che, a modo suo,
Beatrice – un nome che parla e non dice frottole - non lo abbia
salvato ugualmente? Con la lettura di Alfredo,
si capiscono meglio le storie tramandate alla Fortezza e l'importanza
delle metà mancanti. Adesso, vedete, la sfera è finalmente intera.Il
mio voto: ★★★½Il
mio consiglio musicale: Radiohead – Creep