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Recensione a basso costo: Alfredo, di Valentina D'Urbano

Creato il 19 novembre 2015 da Mik_94
Ma io non ho la testa per fare certe cose. Ci vorrebbe forza di volontà, ci vorrebbe un motivo vero. Ci vorrebbe che fossi un po' più come lei e un po' meno come me.
Recensione a basso costo: Alfredo, di Valentina D'Urbano Titolo: Alfredo Autrice: Valentina D'Urbano Editore: TEA – I Grandi Prezzo: € 10,00 Sinossi: Alla Fortezza – il quartiere senza identità, con l'asfalto riarso dal sole e spaccato dal gelo, e i palazzi dall'intonaco ruvido e sbrecciato – tutti li chiamano «i gemelli». Perché da sempre Beatrice e Alfredo sono inseparabili, come fratelli appunto. O forse qualcosa di più? La loro storia, struggente e tragica, diventerà quasi una leggenda nel quartiere. Ma a narrarla finora è stata soltanto Bea, la metà più forte dei «gemelli», la ragazza cui bastava sentire l'odore di Alfredo sulla maglietta verde che lei stessa gli aveva regalato per sapere che lui ci sarebbe sempre stato. La giovane donna che ha lottato fino alla fine per sentire il rumore, inconfondibile, dei suoi passi. Questa invece è la storia della metà più debole dei «gemelli» e a raccontare l'arrivo alla Fortezza è Alfredo, in prima persona, con la sua voce, le sue fragilità, i suoi piccoli e grandi sogni così difficili da realizzare e così facili da infrangere. Fino all'incontro che gli cambierà la vita: quello con Beatrice.                                                   La recensione Al ginnasio, ho scoperto che tradurre mi piaceva. Soprattutto, tradurre dal greco. Prendere un testo incomprensibile, scritto, per di più, in un alfabeto diverso dal nostro, e restituirlo lentamente all'italiano - ricercando prima il verbo, poi il soggetto, senza dimenticare l'importanza delle congiunzioni - era un gioco a premi; decodificare un mistero da cui dipendeva un po' la sufficienza in pagella, un po' la salvezza dell'universo, come fosse un'avventura fantastica. Il fatto che mi piacesse, però, non vuol dire che lo trovassi facile. Era bastata una versione fatta così così, un cinque scarso, per farmi titubare. Avevo riconosciuto regole e costrutti, quella volta, e scelto i termini appropriati. Ma cosa significasse quel testo boh, chi lo sapeva. La versione che non afferravo era un mito di Platone, che poi avrei finalmente compreso nell'ora di filosofia. Nella notte dei tempi, c'erano non due, ma tre generi – il maschio, la femmina, l'androgino – e l'essere umano era una sfera, con quattro braccia, quattro gambe, quattro occhi e due sessi.  Recensione a basso costo: Alfredo, di Valentina D'Urbano Rotondo, si muoveva saltellando goffamente, e saltellando goffamente aveva puntato al monte Olimpo. Zeus, temendo che qualcuno osasse usurparlo e non potendo condannare l'umanità tutta all'estinzione, aveva scagliato uno dei suoi fulmini contro quest'uomo a forma di mela. I figli del Sole e della Luna, adesso soli, privi dell'altra metà, erano destinati, in vita, a cercare il compagno da cui erano stati separati, un giorno, per vendetta. Come parafrasare a un quattordicenne il senso dell'amore? Alla Fortezza, Platone non si conosce. Ci si ferma alla quinta elementare, in quel quartiere sotto assedio di palazzoni abusivi, ma c'è la strada che insegna e non fa sconti. In Quella vita che ci manca però terzo romanzo che era stato un ritorno a casa – si raccontava un altro mito. Quello dei Gemelli, Alfredo e Beatrice: sempre insieme, ma sempre divisi. Gli sfortunati amanti che avevano imparato ad amarsi in ritardo, dopo un'infanzia insieme che aveva saputo renderli fratelli siamesi. Eppure erano opposti: lui biondo, lei mora; lui fragile, lei forte. Ma l'amore, anche se per poco, aveva fatto sì che, nello stesso letto, tornassero a comporre il loro legame simbiotico. Abbracciati stretti, allora, come lo sono i gemelli nelle ecografie. Si erano conosciuti da bambini, con Alfredo che – pestato a sangue dal padre alcolista – agonizzava sul ballatoio del condominio, il viso una maschera rossa, e la piccola Beatrice, allora, aveva preso a piangere al posto suo. Come quando tu ti sbucci un ginocchio, in bici, e il tuo migliore amico piange per te. Cosa c'è stato prima, cosa durante? Valentina D'Urbano – la stessa che troverete nella lista dedicata ai libri più belli letti durante l'anno, con il suo intenso e affascinante Acquanera – guarda al suo esordio e ritorna sui propri passi; quelli che, in definitiva, fanno ancora rumore.  Recensione a basso costo: Alfredo, di Valentina D'Urbano Ne sentite, in sottofondo, l'eco? E se c'è una cosa che tanto, tanto mi piace di lei – che, da quel che Facebook mi dice, lavora su un nuovo romanzo che la prosciuga e che non vedo l'ora di leggere – è che, con quella prosa spigolosa, ruvida, irregolare come gli edifici dei suoi quartieri, si affezioni sempre smisuratamente ai suoi personaggi. Ironico, perché non si direbbe, sapendola spesso spietata. Sbagliato, perché non si potrebbe, da quel che i maestri, almeno, suggeriscono: uno scrittore, pare, non dovrebbe innamorarsi delle sue creazioni; ma come fa? Il bello de Il rumore dei tuoi passi, opera prima che torna e ritorna, in seguiti o semplici dèjà vu, è che invece non l'ha mai abbandonata. In questo nuovo romanzo, un esperimento che è diventato altro, ampliazione di un racconto breve, il mito dei Gemelli rivive, ma raccontato non da Beatrice, né dai fratelli Smeraldo, testimoni indiretti: a parlare è il ragazzo alto e secco che indossava i maglioni a maniche lunghe d'estate, lo spettro a cui andavano le preghiere e i girasoli. Nel capitolo iniziale, una scena che sembra d'altri mondi. Ho pensato ai bambini africani che giocano nel fango, tra le sterpaglie, con la pancia gonfia d'aria, le mosche che tutt'intorno ronzano e le madri che muoiono di setticemia. Come in una pubblicità progresso in cui il personaggio famoso di turno ti chiede di donare, di salvarli. Ma Alfredo e i suoi fratelli – Massimiliano e Andrea – sono bianchi, biondissimi, e nessuno ha cura di loro. Quel fiume sporco, forse, è un tratto del Tevere che si usava a mo' di discarica e il loro Terzo Mondo è la zona cieca di una città che, negli anni settanta, ha confini di fuoco ma non regole. Successivamente, il trasferimento alla Fortezza e l'adolescenza che coglie di sorpresa, facendoci scoprire troppo grande per fare il bagno nella stessa vasca di quella bambina che ci fa dannare l'anima. Infine, il dopo: il vortice della dipendenza, i buchi dell'eroina, la pena eterna. In quell'epilogo già scritto, che non per questo emoziona di meno, l'inevitabile accade; ma saremo ancora certi che, a modo suo, Beatrice – un nome che parla e non dice frottole - non lo abbia salvato ugualmente? 
Con la lettura di Alfredo, si capiscono meglio le storie tramandate alla Fortezza e l'importanza delle metà mancanti. Adesso, vedete, la sfera è finalmente intera. Il mio voto: ★★★½ Il mio consiglio musicale: Radiohead – Creep

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